EXPORT DI ARMI PIÙ FACILE (PURE VERSO I REGIMI) da IL FATTO
Export di armi più facile (pure verso i regimi)
NUOVA LEGGE TAJANI-CROSETTO – Affari pericolosi. L’Italia vende già a Turchia (600 mln), Qatar (255 mln) e Arabia, ma ora si può fare peggio: in Cdm ok a un ddl che svuota i poteri dell’agenzia Uama
LORENZO GIARELLI 4 AGOSTO 2023
A sentire il governo, la ratio è semplice: snellire le procedure per autorizzare le esportazioni di armi e di tecnologie militari. Il problema, come evidenziano le associazioni pacifiste, è che così si rischia di “commissariare” l’autorità nazionale che fino a oggi si è occupata dei permessi alle aziende, lasciando ogni valutazione sull’export all’esecutivo di turno. E se un’accelerazione delle procedure per la vendita di armi a Paesi dell’Unione europea può essere innocua, la faccenda diventa ben più delicata se di mezzo ci sono affari con regimi o comunque con Stati in cui non sono garantiti i diritti umani.
La novità è contenuta in un disegno di legge arrivato ieri in Consiglio dei ministri e che nei prossimi mesi dovrà essere approvato in Parlamento. Il testo modifica la legge 185 del 1990 sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, ovvero la legge fondamentale che ancora regola il commercio nel settore Difesa. Il disegno di legge proposto dal governo, “su proposta del ministro degli Esteri Antonio Tajani” ma a cui ha lavorato pure il ministero di Guido Crosetto, prevede il rafforzamento del Comitato interministeriale per gli scambi di materiale di armamento (Cisd), un organismo già previsto dalla legge del 1990 ma negli anni accantonato. Oggi riemerge con un potere decisivo, perché viene istituito “presso la Presidenza del Consiglio”, è presieduto direttamente dal premier e ne fanno parte “i ministri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e del Made in Italy”.
Nel nuovo schema, questo ente è centrale perché “sarà compito del Cisd formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della legge e delle politiche di scambio nel settore della Difesa”. Deciderà, insomma, quali Paesi “riabilitare”, sdoganandone il commercio in entrata e in uscita, riducendo così di molto il ruolo della Uama (l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento), l’autorità in sede alla Farnesina che autorizza ogni esportazione. “Se così fosse, l’Uama sarebbe svuotata – accusa Francesco Vignarca, analista tra i fondatori della Rete Pace e Disarmo – e si limiterebbe a svolgere funzioni burocratiche”.
Come funzionerà, quindi, l’autorizzazione per la vendita di armi all’estero se la legge dovesse essere approvata? Dal governo spiegano che oggi sono necessari tempi troppo lunghi per arrivare all’ok definitivo a una licenza, al punto che anche per compravendite con Paesi come la Francia o l’Ungheria, dunque interni all’Ue, ci si perde in lungaggini che richiedono 6 mesi o più per un’autorizzazione. Da qui il bisogno di snellire, affidando al Comitato un’indicazione chiara e preliminare su quali Stati possano avere l’ok in tempi rapidi.
Il guaio arriva con i Paesi extra-Ue ed extra-Nato. Il Cisd infatti darà un’indicazione anche su quegli Stati con i quali il commercio d’armi presenta evidenti problemi di opportunità (se non di legge, in qualche caso): Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi, solo per citare i casi controversi più recenti. “Non a caso la modifica della legge del 1990 – spiega Vignarca – era nell’aria da un po’ e ci sono state forti pressioni dopo che, su indicazione del Parlamento, il governo Conte aveva interrotto alcune trattative con Ryad e con Abu Dhabi”.
Nei mesi scorsi, il Consiglio dei ministri ha già riabilitato in via formale Arabia e Emirati Arabi (dopo un primo allentamento dei vincoli voluto da Mario Draghi), elogiandone gli sforzi per la pace in Yemen. Una fragile tregua dopo che proprio questi Paesi si erano macchiati di crimini atroci contro i civili, ma tant’è. Finora, la legge del 1990 ha vietato la vendita in Paesi in cui ci sono abusi dei diritti umani, consentendo però che un atto di indirizzo politico potesse risolvere i casi limite, per esempio stabilendo l’ok all’export per un certo Stato. Con l’istituzione del nuovo Cisd, ogni autorizzazione sarà in partenza frutto di una decisione politica, dato che a farne parte sono i massimi esponenti del governo. E dunque Uama – pur non scomparendo – si limiterà a ratificare, sarà in sostanza organo esecutivo di quanto stabilito dal Comitato.
Da qui le varie obiezioni della Rete Pace e Disarmo: “Già adesso l’Uama fa periodiche riunioni coi ministeri interessati – è la versione di Vignarca – e dunque il governo ha tutta la possibilità di confrontarsi senza bisogno di commissariarlo”. E poi: “Quando nel 2013 il Parlamento ratificò l’Arms Trade Treaty (il Trattato sul commercio delle armi), disse che non c’era bisogno di inasprire la legge 185 del 1990 perché conteneva già tutte le indicazioni di quel Trattato. Non era esattamente così, perché per esempio sulla vendita ai regimi è più stringente. Adesso che si tocca la legge del 1990, bisognerebbe farlo non soltanto per inserire il Cisd, ma pure per integrare le norme del Trattato”.
Per il momento, non se ne parla. E resta un’altra questione aperta su cui le associazioni chiedono rassicurazioni: “Il Comitato dovrebbe fornire indicazioni con grande reattività, visto che il contesto internazionale muta in fretta come abbiamo visto in Niger nelle ultime settimane. Questo Comitato, presieduto dalla premier, sarà in grado di farlo?”.
Come ovvio, la partita tocca piani sensibili nei rapporti geopolitici. Basta dare un’occhiata all’ultimo report sull’export di armi, quello relativo al 2022. Ci si accorge innanzitutto che il mercato delle autorizzazioni vale circa 5 miliardi, con una crescita a doppia cifra rispetto al 2021. Non solo. Il principale Paese con cui le nostre aziende fanno affari è la Turchia di Erdogan (600 milioni di euro), mentre al quarto posto – preceduto da Usa e Germania – c’è il Qatar (255 milioni). Al nono posto l’Arabia Saudita di Bin Salman e al decimo gli Emirati, entrambi notevoli perché testimoniano l’allentamento dei vincoli nei loro confronti: 123 milioni di autorizzazioni verso l’Arabia (erano 47 nel 2021) e 121 verso Abu Dhabi rispetto ai 56 dell’anno precedente.
Come evidente, lo status quo non impedisce dunque alla Uama di autorizzare vendite verso Paesi dagli standard democratici molto lontani dai nostri, ma nei timori degli attivisti l’accentramento del potere in un Comitato politico rischia di piegare i pur fragili limiti del commercio di armamenti alle logiche dei rapporti internazionali tra i governi. Nulla di cui preoccuparsi, dicono dai ministeri. Anzi: “Il tentativo è quello di fare una legge più rigorosa – spiega una fonte degli Esteri – perché innalza a livello politico la responsabilità e quindi non la carica ai funzionari”. I divieti della legge 185 restano intatti, assicurano. Ma a preoccupare è che possa cambiarne l’interpretazione.
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