ED IO VI DICO CHE.. “FARÒ L’ELEZIONE DIRETTA” da IL MANIFESTO, TRANSFORM! e IL FATTO
La premier costituente spaventa le opposizioni «Farò l’elezione diretta»
Dalla trappola delle consultazioni di governo esce lo spot di Meloni «Mandato del popolo per cambiare la Costituzione, gli altri divisi»
Andrea Fabozzi 10/05/2023
Dialogano, ma per dire una il contrario dell’altra. A sera l’ultima consultazione della presidente del Consiglio dura il doppio delle altre e uscendo dopo due ore la segretaria del Pd Elly Schlein racconta di aver alzato un muro davanti alle proposte di Giorgia Meloni. Le ha detto anche che la modifica della forma di governo «non è una priorità del paese» e che le cose più urgenti sono altre: sanità, lavoro, scuola, ambiente. Persino nel capitolo riforme bisognerebbe guardare altrove, cominciare con la riforma elettorale e finire con quella dei partiti, comunque niente elezione diretta.
Giorgia Meloni
L’ipotesi del suffragio universale sul premier è quella che ha ricevuto una maggiore apertura. Sulla bicamerale il dibattito è aperto
Né del presidente della Repubblica né del presidente del Consiglio, secondo la formula della «doppia busta» che Meloni continua a offrire alle opposizioni, solo perché così potrà dire di aver scelto quella che almeno un pezzo dell’opposizione ha accettato. Si tratta di Renzi e Calenda, naturalmente, che insistono con il «sindaco di Italia». Soluzione peggiore, perché otterrebbe il risultato opposto di quello che contrabbandano: metterebbe in mora il capo dello Stato e farebbe del parlamento l’ostaggio del premier. Altro che sfiducia costruttiva.
MA È PROPRIO LÌ che il circo delle riforme costituzionali messo su da Meloni con scenografia degna delle consultazioni quelle vere, per la formazione del governo, va a parare. E l’umore delle opposizioni – Renzi e Calenda esclusi – volge al brutto, prevale l’idea che Meloni non si fermerà, anche sapendo di partire senza i numeri sufficienti per evitare quel referendum costituzionale che due volte su tre ha affossato i piani dei governi. La presidente del Consiglio lo conferma concedendosi ai giornalisti, fatto raro, a fine giornata. Per dire due cose: che il governo è unito e le opposizioni sono divise e che lei andrà avanti «per rispettare il mandato degli elettori». Dopo un altro giro (spazio anche agli enti locali e alle parti sociali) tutti si aspettano che il disegno di legge sul premierato («assoluto», diceva Leopoldo Elia) arriverà effettivamente entro l’estate.
È CHIARO ADESSO che la presidente del Consiglio tiene tantissimo a mettersi al centro del progetto riformatore. Secondo una tradizione che si potrebbe dire gollista, non fosse che Renzi aveva fatto lo stesso (andandosi a schiantare) nel 2016. Qui sta la trappola delle consultazioni di governo (con palazzo Chigi che occupa la camera come mai si è visto) nella quale tutte le opposizioni sono cadute. Con Schlein, trattandosi della prima volta, parte anche la battaglia mediatica: la segretaria anticipa le sue posizioni al Tg3 mentre Meloni la sta aspettando, Meloni fa uscire la sua replica mentre il confronto tra le due è ancora in corso. «Perché non la monarchia illuminata?», raccontano che la segretaria Pd abbia a un certo punto risposto alle acrobazie istituzionali della premier.
«Buonasera, vedo che siete una delegazione contenuta», ha invece detto Meloni accogliendo a metà pomeriggio i due rappresentanti di + Europa, Della Vedova e Magi. Che ha replicato: «Siete voi che siete tantissimi». Undici da quel lato del tavolo, tra ministri, sottosegretarie consiglieri, e altri collaboratori del governo sedevano in seconda fila, ma a parlare è quasi solo Meloni. Il suo manifesto programmatico la presidente del Consiglio lo squaderna prolisso a beneficio del primo ospite, «il presidente Conte», con il quale la cordialità è quasi ostentata: «Negli incontri internazionali si è reso conto come me che gli interlocutori si chiedono quanto durerà il governo italiano di turno».
Nell’introduzione Meloni sottolinea due punti. Che l’instabilità dei governi italiani è «paradossalmente peggiorata nella seconda Repubblica», cioè quella che si conta dall’introduzione delle leggi elettorali maggioritarie – elemento sul quale però non c’è riflessione se non la proposta di insistere. E che il verticismo, una forma quale che sia di elezione diretta, rappresenterebbe un antidoto alla disaffezione degli elettori, cioè all’astensionismo. Che però è massimo, neanche su questo c’è una riflessione, quando si vota nelle regioni e nei comuni dove l’elezione diretta c’è già. Quando poi si tratta di fare la lista dei difetti da correggere nel sistema, anche Meloni come i 5 stelle infila il trasformismo, declinato però in un modo che è come un calcio sotto il tavolo a Salvini, seduto due sedie alla sua destra: «Basta con i partiti che cominciano la legislatura con degli alleati e la finiscono con alleanze diverse».
Testimonianza anche questa di quanto la rappresentazione di una maggioranza granitica nel confronto con l’opposizione non regga. Non a caso quando Schlein chiede «una moratoria» sull’Autonomia differenziata, Meloni non dice immediatamente di no e Salvini si alza e se ne va.
CI PENSA CONTE a pronunciare la parola «bicamerale» e raccontano che la presidente del Consiglio resti interdetta. Non si aspettava questa mossa, risponde che non si possono però allungare i tempi. Conte avrebbe offerto però disponibilità a «scadenze certe». Un’idea precisa di che tipo di commissione debba essere non ce l’ha. Tra gli altri partiti di opposizione si fa strada l’idea che l’abbia pensata per avere un po’ più di attenzione. Meloni però ha da tempo un candidato per guidare quella commissione, Marcello Pera, e forse adesso ci sta pensando.
La Costituzione in mano alla reazione
Giuseppe Aragno 10/05/2023
Poche parole, rivolte con umiltà ai nostri giovani, ai ragazzi e alle ragazze che potrebbero non sapere, perché ormai le loro scuole e le loro università sono state piegate alla logica del profitto; poche parole a una gioventù che, quando prende parole e protesta perché non c’è chi l’ascolti, rischia la galera. Se vi sembreranno inutili, perdonate un vecchio maestro elementare che, giunto al tramonto della vita, si sente colpevole e sconfitto. Un vecchio insegnante che soffre al pensiero di vedervi risospinti verso un mondo ingiusto e feroce, che non avete conosciuto, ma è purtroppo esistito.
Non so dove abbiamo sbagliato io, i miei compagni e le mie compagne che pure abbiamo speso la nostra gioventù nel tentativo di vedere trionfare principi di eguaglianza e giustizia sociale. So che dovremmo chiedervi scusa, stare con voi in prima fila quando vi aggrediscono e vi fanno male con manganelli, idranti e lacrimogeni. Con voi in prima linea anche di fronte ai giudici che pretendono di giudicarvi in nome di una legalità sempre più estranea alla vostra umanità, ai vostri legittimi sogni, alle vostre speranze. Dovremmo stare lì con voi, ma gli anni e i malanni ci legano ormai mani e piedi e non ci consentono di pagare il debito che abbiamo nei vostri confronti. I nostri genitori e i vostri nonni ci consegnarono un mondo certamente migliore di quello che noi lasciamo a voi. E questo, credetemi, fa male.
Oggi, con l’arroganza tipica di chi disprezza la democrazia, la maggioranza che vi governa, formata da una classe dirigente in buona parte incapace e prepotente, ha invitato le opposizioni a “dialogare” su un progetto politico che rischia di ridurvi in schiavitù. Noi, hanno dichiarato gli ex fascisti e i loro alleati, nati solo per dividere il Paese, noi intendiamo subordinare il Parlamento al Governo, trasformare la Repubblica parlamentare in una Repubblica presidenziale. Se ci state, bene, signore e signori dell’opposizione, se non ci state, noi fascisticamente ce ne freghiamo e andremo avanti nel nostro colpo di Stato. Le opposizioni non hanno avuto vergogna di accettare l’invito. Per quanto giovani, voi l’avreste fatto? Vi sareste presentati o avreste detto no? Io credo che non solo avreste rifiutato, ma a giusta ragione replicato minacciando: provateci e noi trasformeremo il Paese in un campo di battaglia.
Chissà quanti vostri docenti a scuola oggi avrebbero voluto iniziare una stagione di disobbedienza civile e cominciare a leggere e a spiegare cos’è, che dice e com’è nata la Costituzione che intendono pugnalare alla schiena! Non l’hanno fatto, perché hanno ben presenti i licenziamenti dei colleghi che hanno protestato. Ricordano Flavia Cassaro, mandata a casa per aver protestato con la Polizia, il calvario giudiziario di Franco Coppoli, docente che aveva osato togliere il crocifisso dalla parete della sua aula, la preside trascinata in una sorta di pubblico processo per una lettera inviata a studenti e studentesse, nella quale diceva ciò che tutti sanno: stiamo attenti, state attenti, perché fu così che iniziò nel nostro Paese il fascismo. Con i pestaggi impuniti e i testimoni ammutoliti.
Voi forse lo sapete, ma io ve lo ricordo, perché in casi come questi è molto meglio ripetere che star zitti, per timore di essere noiosi. La nostra Costituzione è stata scritta per lo più da uomini e donne che avevano subito la persecuzione della dittatura fascista e avevano combattuto il regime. Uomini e donne di grande onestà, di grande cultura e di grande coraggio. Non nacque in un giorno la Costituzione che oggi vogliono cambiare gli eredi politici di chi non partecipò a quella grandissima esperienza perché veniva dal fascismo e non voleva un Paese democratico.
La decisione di scriverla, si era presa sin dal 1944. E quando quella decisione fu presa, i padri politici di chi ci governa erano in buona parte alleati dei nazisti che occupavano il Paese. Questa verità non si dice mai chiaramente, ma le cose stanno così e voi dovete saperlo. Scrivere una Costituzione, la prima che avessimo mai avuta, non era facile e non a caso nell’autunno 1945 si istituirono una Consulta Nazionale e un Ministero della Costituente. In effetti, gli uomini e le donne che scrissero la nostra Costituzione, benché mille volti più preparati di chi oggi vuole cambiarla, andarono a “scuola”. La Commissione elaborò le norme per l’elezione dell’Assemblea Costituente e il Ministero predispose un ricco materiale di consultazione per gli uomini e per le donne che avrebbero avuto il compito di realizzare l’impresa.
Chi la scrisse? Riflettete bene su quello che sto per dirvi: la scrissero uomini e donne eletti apposta il 2 giugno 1946. Era passato un anno e mezzo dalla decisione di darsi una Costituzione e per la prima volta nella storia d’Italia quel giorno votarono anche le donne. Mai un’assemblea aveva avuto così piena legittimità. Una legittimità che non è paragonabile a quella che hanno oggi i signori e le signore che vorrebbero cambiarla. In quello storico 2 giugno votò infatti l’89,08 % degli aventi diritto. Sapete quanti elettori hanno votato alle elezioni da cui viene fuori questo governo? Il 64 % . Sono numeri che parlano da soli.
Dopo le elezioni del 2 giugno 1946, per scrivere e approvare la legge fondamentale dello Stato, l’Assemblea lavorò fino alla fine di dicembre del 1947. Tenne 347 sedete: 128 antimeridiane, 219 pomeridiane, di cui 22 con prolungamento serale notturno. Durante i lavori, uno dei 556 deputati dell´Assemblea Costituente, Giuseppe Dossetti, il 21 novembre 1946 presentò una proposta sul “diritto di resistenza”. L’articolo non passò. Nessuno allora poteva immaginare che saremmo giunti al punto in cui siamo. La sua proposta era breve, ma credo che voi dobbiate conoscerla: «La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino».
Riguardava anche voi. Voi che chiedete invano a chi vi governa di fare il suo dovere e preoccuparsi immediatamente del cambiamento climatico. La risposta che vi danno è fatta di manette, reati e anni di prigione. Sono quelli che vogliono mettervi in galera che ci vogliono regalare una Repubblica presidenziale, con uno che comanda e il Parlamento che fa da contorno.
Chi vuole il presidenzialismo non lo sa – è probabile data l’ignoranza accampata in Parlamento – e se lo sa, finge d’ignorarlo. Presentando all’Assemblea Costituente il testo della Costituzione, Meuccio Ruini, un moderato, ebbe a dire: «Vi è un punto che non si deve mai perdere di vista in nessun momento, in nessun articolo della Costituzione: il pericolo di aprire l’adito a regimi autoritari e antidemocratici. Si sono a tale scopo evitati due opposti sistemi. Anzitutto: il primato dell’Esecutivo, che ebbe nel fascismo l’espressione più spinta. Non si può dire che appartenga a questo tipo il sistema presidenziale […] negli Stati Uniti d’America. Con un capo dello Stato che è anche capo del Governo e ha ampi poteri, ma non sembra poter essere trasferito da noi, che non abbiamo la forma federale né altri elementi – che accompagnano quel sistema nella Repubblica della bandiera stellata. Vi è in Europa una resistenza irriducibile al governo presidenziale, per il temuto spettro del cesarismo, e per il convincimento che il governo di Gabinetto abbia diretta radice nella fiducia Parlamentare».
Ruini non poteva conoscere la storia futura. Se avesse potuto, avrebbe aggiunto che in Francia il presidenzialismo sta dando pessima prova di sé, imbavagliando il Parlamento. Avrebbe certamente elencato i governi presidenziali diventati dittatura, come accaduto nella Turchia di Orban, nella Russia di Putin, nella Polonia di Jarosław Kaczyński e, perché no?, nell’Ucraina di Zelensky, che ha sciolto tutti i partiti di opposizione.
Noi dobbiamo vi molto, ragazzi e ragazze del nostro Paese. In un momento così buio, voi affrontate la repressione come fecero i partigiani. Queste mie parole sono perciò allo stesso tempo figlie di un timore e di una speranza. Il timore che la reazione passi nonostante voi e la speranza che voi vi stiate preparando alla battaglia e vi stiate avvicinando alla politica con la volontà di scrivere il vostro futuro. Perché questo accada, oggi occorre che giunti infine a un bivio, sentiate che con la Costituzione è in gioco il vostro mondo di domani.
Da Renzi a Meloni, tornano i rottamatori della Costituzione
FRANCO MONACO 10 MAGGIO 2023
Dunque, la giostra ha ripreso a girare. Un tormentone che ci accompagna da 40 anni! Gli addetti ai lavori già ci si sono tuffati con voluttà. Specie e non a caso i costituzionalisti di nuova generazione – più inclini a tecnicismi ingegneristici che a cultura costituzionale – che vi scorgono una nuova occasione di visibilità. Meno i più autorevoli e titolati che suggeriscono cautela.
Sembra che non si sia appreso nulla dalla lezione del passato. Cioè dalla fallacia del “mito della grande riforma”, stigmatizzato da Valerio Onida. Un sostanziale fallimento la cui radice ultima sta, a mio avviso, nella circostanza – ammonì Dossetti – che il nostro non è un tempo propizio per una “impresa costituente”. Di più: che non disponiamo di un ceto politico all’altezza di essa. Lontanissimo, per statura e per visione (lungimirante), da quello che la Costituzione (presbite) la scrisse.
Anche se la materia non è di facile comprensione per la vasta opinione pubblica, c’è traccia di saggezza nei referendum con i quali per ben due volte i cittadini hanno bocciato le “grandi riforme”; nella loro percezione del mix di improvvisazione, strumentalità e spirito di parte dei quali erano intessute quelle confezionate rispettivamente dalle coppie Berlusconi-Bossi e Renzi-Boschi.
Resisto alla tentazione di entrare nel merito di quelle ora prospettate dal governo e trascuro anche l’evidenza del baratto politico (l’opposto di una visione) tra FdI e Lega che mira a sommare presidenzialismo e autonomia differenziata. Mi contento di un cenno all’esigenza di contestualizzare politicamente la discussione. Già sarebbe sufficiente per instillare scetticismo e accorta vigilanza. Siamo reduci dalle polemiche sul 25 Aprile intorno al fondamento antifascista della Costituzione. Dovremmo avere imparato che, piaccia o non piaccia, sul punto l’auspicato consenso non c’è. Anche tra chi sta ai vertici dello Stato. E di conseguenza dovremmo smetterla con l’ipocrisia. Pretendendo di strappare professioni di antifascismo a chi antifascista non è, non vuole o non riesce a professarsi; sia l’ipocrisia nostra di fingere di dare credito a chi, controvoglia e balbettando, cedesse alla nostra pretesa.
Prendiamone atto: sul passato non c’è concordia. Concentriamoci piuttosto sul presente. Ed è qui che, in concreto, difettano clamorosamente le condizioni per confidare in uno spirito costituente. Penso alla bulimia del governo nell’occupazione di ogni postazione di potere (grandi aziende pubbliche, Rai, Inps sono solo gli ultimi casi), penso alla insofferenza verso gli organi di garanzia, penso alla guerra alla magistratura ingaggiata dal ministro della Giustizia, penso alla comunicazione praticata dalla premier che rifugge il confronto con la stampa. Ma penso soprattutto alle parole con cui Meloni ha introdotto lo stesso “dossier riforme”: nel caso, si è detta decisa a vararle anche senza o contro l’opposizione. Intendiamoci: ciò che già fecero Berlusconi e Renzi. Il quale oggi sprizza entusiasmo e incoraggia la premier ad andare avanti comunque, già assicurando la sua disponibilità, già avendo scorto l’opportunità di incunearsi. Facendo ciò che meglio sa fare con la sua piccola e mobile compagnia di ventura. Fornendo da subito a Meloni la rassicurazione di avere i numeri, che altrimenti non avrebbe, per varare le sue riforme senza la minaccia di un referendum a valle e di potere raccontare al Paese di avere coinvolto settori dell’opposizione. In realtà, una ruota di scorta.
In questo scenario le vere opposizioni farebbero bene a tenere alta la guardia. Rammento che, nella Carta di valori del Pd, è scolpito a chiare lettere: “Mai più riforme costituzionali a colpi di semplice maggioranza di governo”. Poi venne Renzi, che oggi si spaccia per coerente, e fece l’esatto contrario.
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