DONNE: UMILIATE, OFFESE, TORTURATE E UCCISE. da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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DONNE: UMILIATE, OFFESE, TORTURATE E UCCISE. da IL MANIFESTO

Umiliate, offese e uccise

VERITÀ NASCOSTE . La rubrica su psiche e società. A cura di Sarantis Thanopulos

Sarantis Thanopulos  22/07/2023

Il bidello di una scuola, un uomo di 66 anni, ha infilato le mani dentro il pantaloni di un’alunna di 17 anni e le ha palpeggiato il sedere. Un tribunale l’ha assolto. Poiché il palpeggiamento sarebbe durato meno di 10 secondi, i giudici hanno ritenuto che l’assalto, dall’accusato definito come “goliardico”, è stato “goffo, ma privo di lussuria”, non un crimine.

Negli stessi giorni un altro tribunale ha escluso la premeditazione nell’omicidio di Carol Maltesi, un’attrice di film porno uccisa a martellate, tagliata a pezzi è messa nel frigorifero, perché lei era “giovane e disinibita” mentre il suo assassino ne era “innamorato perdutamente”. L’uomo avrebbe agito nella “consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte”. Il suo agire sarebbe stato determinato dal sentimento che l’amante (tornata dal suo figlio di sei anni) l’aveva usato e poi scaricato.

Secondo i giudici “la causa scatenante non è da ritenersi turpe e spregevole più di ogni altro motivo che induca a un delitto cruento, poiché non è stata espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato o un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale”. Caduta la premeditazione, è caduta anche l’aggravante dell’omicidio compiuto per futili motivi. Il movente del feroce femminicidio non sarebbe “abietto o futile in senso tecnico-giuridico”.

La prima sentenza offende la nostra intelligenza e i nostri sentimenti. È un arbitrio puro che ripete e legittima l’aggressione nei confronti della ragazza molestata. La seconda è una costruzione mentale che converte i valori etici in linguaggio tecnico-giuridico e li distorce. La valutazione che la vittima fosse una donna disinibita e spregiudicata, mentre il suo carnefice un uomo sprovveduto, innamorato perso di lei, è del tutto gratuita, profondamente intrisa di pregiudizio morale (veleno vero e proprio per la mente di chi giudica). Di per sé nulla prova sul piano della premeditazione. Non la sconferma, né la sconferma. Caso mai l’avere tagliato a pezzi il cadavere della vittima e averlo messo nel frigorifero depone a favore di una mente contorta in cui tranquillamente possono coesistere premeditazione e improvvisazione.

Ridotto a “delitto cruento” l’assassinio raccapricciante è stato associato a un “non del tutto ingiustificato” (e assai misterioso) moto interiore. Non equiparabile al mero sfogo di un impulso criminale (il matrimonio della psicobiologia spicciola con la morale), che sarebbe stato, invece, inaccettabile, “abietto”.

I giudici non dovrebbero avventurarsi in pcicologizzazioni tanto generiche quanto improbabili della materia su cui indagano, perché i rischio di esprimere una loro personale opinione illegittima, al posto di un giudizio imparziale, è molto alto. Se lo fanno diventano portatori di credenze e di pregiudizi incentivanti l’iniquità, l’ingiustizia e la violenza che abitano la società, la intossicano e la fanno ammalare.

La definizione più rigorosa e attendibile della gravità del crimine compiuto per futili motivi, l’ha data Arendt in La banalità del male: l’assunzione paradigmatica dello sterminio degli ebrei come grado più alto e disumanizzante della distruttività che prende forma senza emozioni. L’assassino di Carol Maltesi non ha agito per eccesso di emozioni, ma per il vuoto emotivo che si era fatto strada dentro di lui. Nulla può giustificare un femminicidio, è sempre compiuto per motivi umanamente futili, paurosamente banali.

È sempre più forte, in barba alla retorica della parità, la tendenza pervasiva a umiliare e offendere le donne, a cancellare la loro libertà erotica e la padronanza del loro corpo. Questa tendenza passa attraverso le vie più insospettabili, sfida la ragionevolezza e il buon senso e quando si manifesta come pura assurdità il segnale che è stata superata la misura dovrebbe esserci molto chiaro.

«Torturate» dal Texas, la causa di 13 donne obbligate a partorire

STATI UNITI. Alcune di loro rischiavano la vita o portavano in grembo feti destinati a morire. Lo stato Gop dopo l’abrogazione del diritto all’aborto

Luca Celada, LOS ANGELES  22/07/2023

Si celebra ad Austin il processo intentato da tredici donne per «le torture» cui sono state sottoposte da parte dello stato del Texas. Le querelanti hanno denunciato che le leggi contro l’aborto promulgate dal loro stato le hanno obbligate a portare a termine gravidanze pur dopo le diagnosi di malformazioni mortali dei feti e gravi rischi per la loro stessa incolumità.

IL TEXAS è fra i tredici stati americani che si sono precipitati a proibire le interruzioni di gravidanza salvo rarissime eccezioni, dopo la storica sentenza contro l’aborto della Corte suprema l’anno scorso.
Nel caso di Amanda Zurawski, da cui prende il nome il caso (Zurawski v. Texas) la rottura premature delle acque ha irrimediabilmente pregiudicato il feto a 18 settimane. In presenza di residua attività cardiaca, ai medici è tuttavia stato impedito di praticare un aborto. Zurawski, trattenuta in osservazione per impedire che inducesse da sola l’aborto, ha sviluppato una setticemia che l’ha tenuta in fin di vita per giorni, prima che i medici intervenissero. Un’altra donna, Samantha Casiano, è stata costretta a portare a termine una gravidanza pur dopo la diagnosi di anancefalia che costituiva una condanna per il feto. In tribunale la donna ha vomitato durante il racconto di come ha dovuto assistere a quattro ore di disperate sofferenze del suo bambino prima che spirasse fra le sue braccia.

SI TRATTA di episodi che riflettono la realtà di migliaia di donne americane in seguito alla sterzata integralista della Corte suprema. Per le cittadine che hanno la sventura di risiedere negli oltre trenta stati che hanno istituito leggi proibizioniste (circa la metà delle americane), si tratta di una distopia degna di Gilead: il regime che nella fantapolitica de Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood si instaura in Nordamerica – un’autocrazia patriarcale in cui le donne sono rese schiave adibite alla riproduzione. Di fatto oggi milioni di donne non godono più di autonomia sul proprio corpo e sulle decisioni che riguardano la propria salute.

SOLO UN MESE dopo l’abrogazione di Roe v. Wade una donna texana era stata obbligata a portare in grembo per due settimane un feto già morto. In Florida una donna incinta è stata costretta a portare a termine una gravidanza di un feto senza reni. Molte donne sono costrette a recarsi in altri stati in cerca di un aborto che a volte è essenziale alla loro sopravvivenza. Lo fanno, almeno, quelle che possono permettersi la spesa ed il tempo necessario e molti stati proibizionisti prevedono severe sanzioni specificamente per chi “espatria”. In Nebraska ad esempio, in questi giorni, una madre e la figlia 18enne rischiano entrambe due anni di galera per essersi procurate pillole abortive per interrompere la gravidanza della ragazza alla fine del secondo trimestre.

A rischiare severe pene (fino a 99 anni di reclusione) sono anche dottori e personale medico obbligato a seguire regole che contraddicono il codice etico. Due ostetriche ginecologhe si sono costituite parte civile nel processo in Texas. La dottoressa Damla Karsan di Houston ha affermato di essersi unita alla querela anche nel nome di numerosi colleghi che sentono di essere impossibilitati a compiere il proprio dovere ippocratico, ma esitano a rendere pubblica la loro indignazione per timore di rappresaglie.

Negli ultimi giorni nel tribunale di Austin si sono susseguite le testimonianze drammatiche, come quella di Lauren Miller di Dallas ha raccontato di essere stata costretta a recarsi fuori stato per l’aborto che ha salvato la vita ad uno dei gemelli di cui è tuttora incinta, quando all’altro è stata diagnosticata la sindrome di Edwards (una condizione genetica mortale). Le donne hanno affermato di sentirsi ostaggio dello stato e in angoscia per la possibilità di trovarsi nuovamente in quella condizione. Gli avvocatidella difesa hanno invece chiesto l’archiviazione del caso dato che le donne «non sono attualmente in pericolo, né è certo che lo saranno in futuro».
I sondaggi continuano a rilevare ampie maggioranze popolari a sostegno del diritto ad abortire.

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