DL SICUREZZA: DOBBIAMO AGIRE PRIMA CHE LA RANA SIA BOLLITA da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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DL SICUREZZA: DOBBIAMO AGIRE PRIMA CHE LA RANA SIA BOLLITA da IL FATTO e IL MANIFESTO

Dl Sicurezza: dobbiamo agire prima che la rana sia bollita

di Sottosopra *  27 Marzo 2025

Quanto manca all’acqua per bollire? A leggere l’articolo 31 del disegno di legge “Sicurezza”, che fin dal nome tratteggia un distopico rovesciamento di interessi da proteggere, si direbbe davvero poco. La storiella è arcinota: la rana nella pentola sente l’acqua che si scalda pian piano e, intorpidita dal tepore, finisce con l’abituarsi alla temperatura sempre più alta; quando infine capisce che il caldo sta diventando insopportabile, è troppo tardi: l’acqua bolle e lei non riesce più a saltare fuori. Perché la raccontiamo? Semplice: esiste un rischio concreto, segnalato dalle opposizioni in modo compatto contro un provvedimento gravissimo e illiberale, di fare la fine della rana. E per evitarlo è bene concentrarsi sull’assurda previsione infilata in una norma che dovrebbe contrastare il terrorismo e la criminalità organizzata e serve invece per reprimere il dissenso, nonché per autorizzare uno spionaggio ai danni dei cittadini da parte dei Servizi segreti, violando ogni convenzione.

L’articolo in questione, già approvato nelle Commissioni preposte e intitolato “Disposizioni per il potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza”, prevede infatti che i servizi possano ottenere dalle pubbliche amministrazioni e dalle società pubbliche informazioni riservate. In nome della sicurezza nazionale “il Dis, l’Aise e l’Aisi possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza”. Tradotto: i Servizi segreti potranno chiedere a ospedali, università e in teoria persino emittenti radiotelevisive in regime di concessione informazioni personali su pazienti, giornalisti, studenti, professori. Informazioni oggi protette dalla privacy, e che al momento le istituzioni in questione possono rifiutarsi di fornire: il ddl Sicurezza rende invece obbligatoria la collaborazione, costringe cioè le pubbliche amministrazioni a “tradire” cittadine e cittadini. Chi fosse particolarmente ingenuo, e non a conoscenza della tragica storia italiana di servizi deviati nonché del recente caso Paragon, e cioè dello spionaggio a danno di giornalisti e attivisti per i diritti umani su cui dal governo non si riesce ad avere chiarezza, potrebbe chiedersi a che pro costringere i luoghi della vita democratica a questo. Ed è utile allora ricordare le parole di JD Vance, sagace e pericoloso vicepresidente statunitense, che con apprezzabile chiarezza ha spiegato ai suoi: “Le università sono il nemico”. Lo sono cioè i luoghi di elaborazione di opinioni critiche, di mobilitazione e attivismo, di fermento intellettuale, di condivisione e collaborazione: non è difficile capire perché sia utile accatastare informazioni su chi abita questi spazi. Gli stessi spazi, d’altronde, che il governo continua a infragilire e minacciare con un’oscena riforma dell’università fatta di tagli e precarizzazione: metodi piuttosto brutali ed efficaci per sedare la spinta intellettuale non allineata. Da tempo si denuncia l’autoritarismo crescente dell’esecutivo di Giorgia Meloni, ma per non svegliarsi rane bollite tocca riconoscere il salto di qualità prima che sia legge. Il governo, su pressione delle opposizioni, ha detto che correggerà i passaggi più critici prima del voto in aula, previsto a breve. Buffa pratica far approvare qualcosa e poi promettere cambiamenti: a pensare male, si direbbe che l’obiettivo è insabbiare l’attenzione. Ecco perché bisogna supportare l’azione di chi in Parlamento denuncia l’inaccettabile forzatura, e manifestare oggi: una volta che l’acqua bolle, cioè quando la norma sarà legge, farlo potrebbe essere più difficile.

Per il Forum Disuguaglianze e Diversità

«Come in un regime». Così i servizi spiavano l’ong Mediterranea

Cimici e bari «Come in un regime». Così i servizi spiavano l’ong Mediterranea. Una velina su carta intestata del Viminale ha coinvolto l’Aise a maggio del 2024. Pronta una nuova denuncia: «Abuso di potere per intimidirci»

Mario Di Vito  27/03/2025

L’ong Mediterranea è un problema di sicurezza nazionale. Solo così si spiega perché l’Aise (l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna) abbia tenuto sotto controllo i suoi attivisti attraverso l’uso dello spyware Graphite dell’azienda israeliana Paragon Solutions, come confermato dal sottosegretario Alfredo Mantovano martedì pomeriggio davanti al Copasir. Un’ammissione che segue quelle fornite a febbraio, sempre davanti al comitato parlamentare di controllo sul loro operato, dai direttori di Aisi e Aise: il software è a disposizione e viene utilizzato. Ma sempre in maniera «lecita» e senza mai prendere di mira i soggetti tutelati dalla legge 124 del 2007. Ovvero i giornalisti. Ma non, ad esempio, gli esponenti delle ong. Da qui se in qualche maniera si chiarisce l’aspetto della vicenda che riguarda Mediterranea, continua a restare in sospeso l’altro filone, quello del direttore di Fanpage Francesco Cancellato, pure lui oggetto di attacchi tramite spyware.

AD OGNI MODO, l’attività di controllo sull’ong da parte dei servizi sarebbe cominciata il 6 maggio del 2024, quando, su carta intestata del Viminale, l’Aise ha ricevuto una velina intitolata «Ong Mediterranea Saving Humans – Attività di agevolazione degli spostamenti di migranti clandestini sul territorio nazionale». Si trattava di materiale proveniente da un’indagine, abbandonata per mancanza di riscontri, della procura distrettuale di Palermo per «associazione a delinquere nel reato di immigrazione clandestina». Tra i coinvolti c’erano «soggetti del mondo istituzionale ed ecclesiastico che notoriamente condividono le posizioni delle ong in merito alla gestione dei flussi migratori». Gran parte degli approfondimenti erano stati fatti sul portavoce della ong Refugees in Lybia David Yambio, che tra le altre cose è anche uno dei testimoni della procura della Corte penale internazionale contro Osama Elmasry, il capo della polizia giudiziaria di Tripoli arrestato a Torino il 19 gennaio e liberato nel giro di 48 ore scarse. Ricevuta l’informazione dalla polizia, l’Aise avrebbe poi regolarmente chiesto al procuratore generale della Corte d’appello di Roma Giuseppe Amato l’autorizzazione ad effettuare delle intercettazioni in via preventiva, non utilizzabili in un’inchiesta giudiziaria. Ed è così che sarebbe cominciato il caso Paragon.

«È STATA smascherata a livello mondiale una operazione segreta, degna di un regime», si legge in una nota diffusa ieri da Mediterranea, che conta al suo interno almeno tre persone attaccate con lo spyware: il portavoce Luca Casarini, l’armatore Beppe Caccia e il cappellano di bordo Mattia Ferrari. «Il sottosegretario Mantovano è la mente che ha ispirato e guidato le attività di spionaggio contro di noi – sostiene Mediterranea -. Tenta di coprirsi attraverso l’alibi della legge. Ma per autorizzare una attività del genere senza violare la Costituzione devono esserci fondati motivi. Cinque procure stanno indagando, e noi confidiamo sul fatto che qualcuno abbia il coraggio di andare fino in fondo e dimostrare, come risulta palese, che questo è un abuso di potere, non altro».

AL LAVORO, coordinate dalla Dna, ci sono gli inquirenti di Roma, Bologna, Napoli, Palermo e Venezia, destinatari di altrettanti esposti nelle ultime settimane. Un’altra se ne aggiungerà a breve, ancora a parte di Mediterranea, proprio per abuso di potere. Al momento, l’attività investigativa consiste soprattutto nella raccolta di informazioni utili, mentre si studia l’ipotesi di assegnare una maxi perizia sui dispositivi attaccati con gli spyware. Sin qui il lavoro tecnico l’ha fatto tutto il Citizen Lab dell’Università di Toronto, che ha ricostruito nel dettaglio la dinamica delle infiltrazioni nei vari dispositivi e ha già concluso che, in Italia e non solo, questi trattamenti vengono riservati quasi esclusivamente ad organizzazioni che si occupano dei migranti e dei loro diritti.

«SI TRATTA di materiali utili solo a costruire dossier e schedature scambiabili con i propri partner criminali in cambio magari di qualcos’altro – conclude Mediterranea – . Sappiamo che questo è un messaggio di intimidazione per tante persone migranti e rifugiate, per noi e per le nostre famiglie».

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