DIALOGO SULLA GUERRA AI TEMPI DEI SOCIAL da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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DIALOGO SULLA GUERRA AI TEMPI DEI SOCIAL da IL MANIFESTO

Un dialogo sulla guerra ai tempi dei social

Tutti i media diffondono l’idea che non ci sia alternativa e che dobbiamo prepararci a una economia di guerra, alla recessione economica e alla crisi alimentare

Aldo Carra, Luciana Quattrociocchi 29/03/2022

Sirene, notti nel ricovero avvolto in una coperta con le sorelline, fuga da Palermo bombardata, infanzia da sfollati in un paesino dell’agrigentino, li ho vissuti quando avevo 5 anni. Oggi facebook mi informa che proprio quel paesino della mia infanzia – Sambuca di Sicilia – ha accolto famiglie ucraine con bambini, i nuovi sfollati.
Mi ritrovo, così, scaraventato indietro di 80 anni con una miscela di immagini ed informazioni ansiogene inoculate dai media e di un vissuto personale che stavo per depositare con dolcezza nei cassetti della memoria. Esplodono così ricordi e sofferenze, ma soprattutto domande.
Veramente aspetti così tristi della storia si possono ripetere dopo 80 anni in cui è cambiato tutto? E perché? E che vita avranno questi bambini? E noi, che abbiamo vissuto il periodo forse più intenso della storia dell’umanità, che cosa abbiamo consumato e cosa stiamo lasciando a chi resta? E possiamo fare ancora qualcosa di attivo e di vivo o forse ha ragione chi pensa che è meglio se la smettiamo di fare danni? Il mix di interrogativi, paralizza il mio pensiero.
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Sono profondamente rattristata per la gestione della questione Ucraina. Avevo fortemente sperato nelle trattative, ma la narrazione di questa ultima settimana sembra chiudere definitivamente ad ogni accordo di pacificazione. I governi insistono sull’idea che l’unico modo per aiutare l’Ucraina sia l’invio di ulteriori armi. Tutti i media diffondono l’idea che non ci sia alternativa e che dobbiamo prepararci ad una economia di guerra, alla recessione economica e alla fame.
Tutto ciò nonostante i sondaggi dicano che la maggioranza degli italiani sia contraria a scelte che portano verso una terza guerra mondiale e che gli appelli alla pace del papa siano sempre più frequenti ed intensi. La mia generazione ha lottato dal maggio francese ad oggi, contro ogni forma di ingiustizia sociale e per i diritti sanciti nella nostra Costituzione, convinta che il sogno potesse diventare realtà. Oggi sento la necessità di reagire al pensiero unico e guerrafondaio e di mobilitarci per la pace ritrovando quella forza interiore per gridare forte in tutto il mondo che non vogliamo la guerra. Usciamo dal silenzio prima che sia troppo tardi.
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Due spunti per cominciare.
– Questa guerra era in corso da più di 8 anni. Nelle interviste di Putin ad Oliver Stone, fatte tra il 2015 ed il 2018, era chiaro che la fine dell’Impero russo, ridotto a pochi stati amici ed abbandonato da tanti, aveva risvegliato quel sentimento di accerchiamento che nella storia del socialismo sovietico aveva contribuito molto alla svolta autoritaria di Stalin. Ed adesso con la scomparsa della componente ideologica, la torsione nazionalistica e le rinverdite radici russe, si era creato un mix che rendeva ai loro occhi insopportabile la riduzione dell’Impero a semplice Stato affiancato/accerchiato da altri stati autonomi e dalla Nato.

Appare anche più chiaro che dal lato Ucraino c’è stata una lunga preparazione con forte sostegni internazionali, mezzi, formazione che consentono oggi una resistenza efficace e durevole. Quindi questa guerra era scritta ed in atto, ma non siamo riusciti ad attivare azioni e politiche per frenarla ed impedirla.

Adesso una soluzione pacifica sembra sempre più difficile, lontana ed è chiaro che più si tarda a trovarla più ci saranno distruzioni, morti, odio. Quindi dobbiamo allarmarci, allarmare, mobilitare. Per fermarla e per evitare un altro rischio: che quell’area che comprende il nord e l’est dell’Europa divenga un terreno di instabilità permanente. Il mondo bipolare, che aggregava per interessi e ideologie, è stato superato, ma non è stato sostituito da un mondo multipolare aperto. La globalizzazione dei mercati aveva creato questa illusione, ma oggi sembra al capolinea ed è in atto un riassetto di ruoli, poteri, alleanze e soggetti (India, Cina), Africa).

Abbiamo davanti a noi una lunga fase di riassetto geopolitico che riguarderà la terra e lo spazio. Avremo, perciò, una fibrillazione permanente alla ricerca di nuovi equilibri. E allora come combattere il rischio di guerre sparpagliate, ma permanenti? Aveva visto lontano papa Francesco quando diceva che la terza guerra mondiale era già in corso e ha ragione oggi quando dice che dobbiamo abolire la guerra dalla storia. Abolire la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti che ci sono e ci saranno.

Su questo tema, molto sentito dai giovani dobbiamo fare una scelta definitiva. Dobbiamo scegliere la via del disarmo, di una nuova funzione degli organismi internazionali affinché imparino a lavorare con la diplomazia e la politica, senza le armi e contro le armi. E formare classi dirigenti nuove per tempi nuovi e di pace.

Sapendo che c’è un grande problema nella politica e nella sinistra larga. Le due vie che stanno davanti a – disarmo/pace armata – non sono due semplici opinioni diverse. Sono due concezioni economiche e politiche che dobbiamo rendere esplicite senza ambiguità. Dobbiamo rendere più visibile la voce della pace contro le armi e contro le guerre. E’ con questo spirito, pensiamo, che questo anno si debba partecipare alla marcia Perugia Assisi. E con la speranza, magari, di aver anche il Papa tra noi e con noi.

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