COSÌ IL “POPOLO REGIONALE” CANCELLA LA COSTITUZIONE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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COSÌ IL “POPOLO REGIONALE” CANCELLA LA COSTITUZIONE da IL MANIFESTO

Così il «popolo regionale» cancella la Costituzione

Riforme «Il Nord è stufo di mantenere il Sud». «Il Sud non può continuare a vivere sulle spalle del Nord». Quante volte negli ultimi anni abbiamo sentito pronunciare frasi simili? «Chi […]

Francesco Pallante  22/10/2024

«Il Nord è stufo di mantenere il Sud». «Il Sud non può continuare a vivere sulle spalle del Nord». Quante volte negli ultimi anni abbiamo sentito pronunciare frasi simili? «Chi al Sud contesta l’autonomia è un egoista rispetto al Nord, perché in questo momento, in Italia, ci sono dodici regioni del Centro-Nord che danno più di quello che ricevono e altre otto regioni che invece ricevono più di quel che danno»: questa la versione del ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli. A tanto si è giunti: a dire apertamente che chi sta male e chiede solidarietà è un egoista che non si fa scrupolo di danneggiare chi sta bene.

Al di là del disgusto morale, il fatto è che applicare tale ragionamento alle regioni è del tutto privo di senso. Si tratta di un maldestro tentativo di manipolazione. La tesi secondo la quale i territori virtuosi “mantengono” con i propri soldi i territori viziosi si regge, infatti, sulla misurazione del gettito tributario pagato e della spesa pubblica ricevuta dalle regioni. Poiché ci sono regioni che pagano imposte in misura maggiore del valore dei servizi pubblici che ricevono e altre regioni che ricevono servizi pubblici per un ammontare superiore al gettito fiscale che producono, se ne deduce la conseguenza che alcune regioni godono di servizi pagati da altre.

Le prime – così si dice – hanno un residuo fiscale attivo; le seconde un residuo fiscale passivo. Se, dunque, ciascuna regione pagasse in imposte l’esatto ammontare della spesa pubblica che riceve, il risultato sarebbe che le regioni più ricche potrebbero ridurre il proprio onere fiscale mantenendo il medesimo livello di servizi, mentre le più povere vedrebbero tale livello diminuire. Il presidente della Lombardia calcola che la propria regione paghi 54 miliardi di euro di troppo; i suoi colleghi del Veneto e dell’Emilia-Romagna misurano l’eccesso, rispettivamente, in 18 e 17 miliardi; il presidente del Piemonte rivendica 11 miliardi. Di qui, l’accusa di egoismo a chi si adopera per impedire la riduzione di tali esborsi di denaro a beneficio altrui.

Un semplice approfondimento è sufficiente per rendersi conto dell’inconsistenza di tali rivendicazioni. Le regioni pagano le tasse e ricevono servizi pubblici? Hanno davvero residui fiscali attivi o passivi? La risposta, in entrambi i casi, è negativa. Le regioni non hanno residui fiscali, dal momento che, in realtà, non pagano le tasse né ricevono servizi pubblici. A farlo sono le persone e, in un caso e nell’altro, a nulla rileva che siano residenti in questo o quel territorio regionale. Quanto ciascuno paga e riceve dipende dal reddito, dal patrimonio, dall’età, dallo stato di salute, dalle condizioni personali e familiari, e via dicendo: elementi che, di regola, nulla hanno a che vedere con la residenza. Io pago le tasse sul mio reddito di professore universitario in base alla stessa aliquota media che grava su un mio collega che, con la medesima qualifica e anzianità, insegna all’Università di Macerata. E se entrambi abbiamo la medesima situazione familiare, identico è l’assegno che riceviamo mensilmente dall’Inps per i figli a carico.

Attribuire alle regioni ciò che è proprio delle persone – come fanno il ministro Calderoli e i presidenti delle regioni settentrionali – è una fallacia argomentativa d’inaudita illogicità. Ed è, altresì, una pretesa giuridicamente insostenibile. Come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 83 del 2016, la Costituzione, all’art. 2, impone doveri reciproci di solidarietà economica, politica e sociale ai cittadini italiani in quanto tali, e non ai veneti nei confronti dei veneti o ai piemontesi nei confronti dei piemontesi. Di nuovo, il territorio di residenza non assume rilievo alcuno, pena la frammentazione dell’unità nazionale, a partire dal popolo che ne costituisce la base.

Affermare l’esistenza di popoli regionali, significa negare l’esistenza del popolo italiano. È per questo che il principio costituzionale della progressività fiscale (art. 53) implica la redistribuzione della ricchezza tra concittadini dello Stato, e non della regione, quale strumento attraverso cui sviluppare legame sociale tra le persone. (…) Rattrappire la solidarietà redistributiva al livello dei corregionali, a discapito dei connazionali, significa (…) sancire il prevalere dell’appartenenza regionale su quella nazionale, una pretesa di matrice apertamente secessionista, che pone chi la agita in rotta di collisione con l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, proclamata quale principio fondamentale inviolabile dall’art. 5 della Costituzione.

* Dal libro “Loro dicono, noi diciamo. Su premierato, giustizia e regioni” di Gustavo Zagrebelsky, Armando Spataro e Francesco Pallante, Laterza

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