CORBYN: “CHI CHIEDE PACE NON È IL LACCHÈ DI PUTIN” da IL FATTO e NOSTROMO
Corbyn: “Chi chiede pace non è il lacchè di Putin. Lodo il Papa per l’impegno”
L’EX LEADER LABOUR – “‘Stop The War Coalition’: ho passato la mia vita nei movimenti anti-guerra”
STEFANIA MAURIZI 10 GIUGNO 2023
È al cuore della battaglia per l’identità della sinistra inglese da anni. Jeremy Corbyn, ex leader del Partito laburista britannico, nel 2020 è stato sospeso dal nuovo leader del Labour, Keir Starmer, ufficialmente per le sue dichiarazioni su un report riguardante alcuni problemi di antisemitismo nel partito. Corbyn non era accusato di essere un antisemita, semplicemente aveva commentato che il problema era stato “drammaticamente esagerato per ragioni politiche”. Riammesso nel partito, non gli è comunque permesso di rappresentarlo in Parlamento.
Lo sente ancora come il suo partito?
Sono ancora un membro del Labour e ci sono stato per tutta la vita. Nei suoi momenti migliori è stato un veicolo di cambiamento sociale, ma in altri si è spostato molto a destra, verso modelli economici liberisti, che io non condivido e che in tutta la mia vita ho combattuto. Ma ho anche passato la mia esistenza nei movimenti sociali e pacifisti. Per esempio, nella Stop The War Coalition, sebbene ora il Labour abbia vietato alle sue sezioni locali anche di aderire alla Stop The War Coalition.
Ken Loach ha fortemente criticato Keir Starmer, dicendo che usa in modo strumentale le accuse di antisemitismo per far fuori gli esponenti di sinistra del Labour. È così?
Ci sono serie preoccupazioni per il fatto che ebrei socialisti e di sinistra siano stati rimossi, a volte, con l’accusa di antisemitismo, che mi pare a dir poco bizzarra.
Starmer ha ripetutamente sottolineato l’appoggio alla Nato e ha criticato la Stop The War Coalition, accusandola di stare dalla parte della Russia, sull’Ucraina. Esiste un ruolo importante per la pace nella sinistra?
Prima di tutto lui non capisce nulla di Stop The War Coalition e poi non racconta le cose come stanno. La Stop The War Coalition è una coalizione di organizzazioni per la pace. Ci siamo costituiti nel settembre del 2001, poche settimane dopo l’11 settembre e da lì siamo cresciuti. Sono stato uno dei membri fondatori, sono stato presidente varie volte e ora ne sono vicepresidente. L’idea che sia uno strumento di qualche governo è assurda. Senza Stop The War Coalition non avremmo avuto la forte opposizione alla guerra in Iraq. È vero che non abbiamo fermato la guerra, ma abbiamo evitato il coinvolgimento del nostro Paese in Siria e ridotto quello in Libia.
Lei è un grande sostenitore di Julian Assange. Possiamo vincere?
Sì. La storia gli darà ragione. È una persona veramente coraggiosa.
Il governo inglese ha fornito all’Ucraina armi all’uranio impoverito e chiunque suggerisca che la guerra vada fermata con le negoziazioni viene bollato come “a letto con Putin”. Che ne pensa?
È assurdo che coloro che chiedono la pace in Ucraina siano considerati a letto con Putin. L’unica volta che sono andato in Russia è stato per supportare il popolo ceceno per gli abusi dei diritti umani che stava subendo. E quando Putin fu accolto in Gran Bretagna da Tony Blair – e di fatto passò una bella serata all’Opera con Blair – c’erano solo due persone fuori a protestare contro la situazione dei diritti umani in Russia: Tony Benn e io. L’idea che io sia un lacchè di Putin è da fuori di testa. L’uranio impoverito, a mio avviso, andrebbe messo al bando. La Gran Bretagna non dovrebbe esportarlo in nessun Paese. Il punto fondamentale sull’Ucraina è questo: a un certo punto, Russia e Ucraina dovranno parlare. Perché farlo dopo aver ucciso migliaia di soldati russi, migliaia di soldati ucraini, migliaia di civili e dopo che sono stati arrestati tanti in Russia per aver protestato a favore della pace? Perché non possiamo ascoltare gli appelli del presidente Lula, di quello del Messico Lopez Obrador, del Sudafrica, Ramaphosa e del Papa? Non ho a che fare con la Chiesa cattolica, ma credo che Papa Francesco dovrebbe essere lodato per la sua disponibilità a intervenire in questo caso e a fare le dichiarazioni che ha fatto.
POPOLI E GOVERNI
Leggo da qualche parte: «Siamo socialisti, distinguiamo tra governi e popoli». Il governo ucraino che si allea con l’«Occidente collettivo» a guida statunitense è una cosa, il «popolo ucraino» aggredito dall’imperialismo russo è un’altra cosa: è la resistenza di questo popolo che i «socialisti» appoggiano sventolando il sacro principio dell’autodeterminazione dei popoli. A mio avviso la distinzione «tra governi e popoli» qui proposta, oltre ad essere politicamente ingenua, a dir poco, è radicata in una concezione ultrareazionaria del processo sociale, che a mio avviso va sempre considerato nella sua complessa totalità (cioè come intreccio di interessi economici, politici, geopolitici e quant’altro) e nella sua dimensione sovranazionale. Questa sommaria puntualizzazione circa la realtà del processo sociale qui richiamato è centrale nella mia riflessione sul conflitto armato in corso in Ucraina come momento della più generale guerra sistemica mondiale – o «nuova guerra mondiale a pezzetti», per dirla col Santo Padre. Guerra mondiale imperialista, mi permetto di aggiungere. Ma ritorniamo ai nostri «socialisti».
La concezione “socialista” qui presa di mira è ultrareazionaria in un senso preciso: essa non si pone il problema di capire quale sia il livello di coscienza dei “popoli”, quali forze sociali (politiche ed economiche, nazionali e sovranazionali) agiscono alle spalle di quei “popoli” spingendoli ora in una direzione, ora in un’altra, non di rado opposta. E il tutto sempre accompagnato dalla demagogica sentenza: «È il popolo che lo vuole!» Ah, se lo vuole il “popolo”… Si può forse dar torto al “popolo”? Si tratta di un “populismo” che porta sempre acqua al mulino delle classi dominanti, o magari solo a una loro fazione. Lo vediamo, ad esempio, tutte le volete che il “popolo” elegge democraticamente la classe politica chiamata a servire gli interessi della nazione, cioè delle classi dominanti. «È il popolo che lo vuole!» In ogni caso, a soffrirne sono puntualmente gli interessi delle classi subalterne. Ed è il concetto di classe, non quello di popolo, che aiuta l’anticapitalista a comprendere ciò che avviene nel mondo, a non perdersi nella fitta trama delle relazioni e degli interessi sociali.
In Europa ormai da moltissimo tempo il concetto borghese di popolo serve solo a celare e mistificare la natura classista della società, della nazione, della patria. Dalla Cina agli Stati Uniti, dall’Ucraina alla Russia, dall’Italia al resto del mondo: oggi le classi subalterne di tutto il pianeta non riescono a spezzare il cerchio stregato del nazionalismo, del patriottismo e, più in generale, dell’ideologia dominante – non importa se declinata in termini “destrorsi” o “sinistrorsi”. «Il nazionalismo è un fiotto in cui ogni altro pensiero annega», disse una volta Karl Kraus, e questo è vero anche a proposito del conflitto che miete vittime ucraine e russe. Prendere insomma per oro colato quello che vogliono e fanno i “popoli” significa porsi acriticamente sul terreno delle classi dominanti e del loro supremo strumento di difesa: lo Stato. Per l’anticapitalista si pone invece il problema di come combattere il nazionalismo e il patriottismo che avvelena i nullatenenti trasformandoli non raramente, come vediamo tutti i giorni, in carne da macello. Gli ucraini sono certo vittime dell’imperialismo russo, ma lo sono anche del sistema imperialistico mondiale di cui anche l’Ucraina fa parte, necessariamente, inevitabilmente. Gli interessi imperialistici di Mosca non sono più esecrabili e disumani rispetto agli interessi imperialistici di Bruxelles o di Washington: per tutti i “players” la posta in gioco è il potere – economico, politico, geopolitico, ideologico. E a farne le spese sono come sempre le classi subalterne – o i “popoli”, come piace dire a certi «socialisti».
Parlare di autodecisione delle nazioni e dei popoli nel contesto del capitalismo mondiale e totalitario del XXI secolo è quindi ridicolo sul piano storico e ultrareazionario su quello politico, almeno per quanto riguarda l’Europa. Non siamo più al tempo in cui Lenin rivendicava per l’Ucraina e per le altre nazionalità oppresse dall’Impero Russo il diritto di separarsi completamente da Mosca, peraltro scontrandosi anche con quei bolscevichi che esibivano ai suoi occhi l’odiato spirito Grande-Russo: di qui il legittimo odio che Putin nutre nei confronti dell’internazionalista Lenin, oltre che nei confronti degli «antirussi» Marx ed Engels. Detto en passant, Putin che accusa di “nazismo” Zelensky è come il classico bue che dice cornuto all’asino.
Al “popolo” ucraino non rimane insomma che “scegliere” da quale parte dell’Imperialismo mondiale vuole stare: dalla parte dell’imperialismo a guida statunitense (e magari un domani a guida europea), oppure dalla parte dell’imperialismo concorrente, sempre più a guida cinese? Ecco i termini reali, non ideologici, non propagandistici, della cosiddetta “autodeterminazione delle nazioni e dei popoli” nell’Europa del XXI secolo. Alcuni “socialisti” sostengono il campo occidentale (con annesso Giappone e altri alleati sparsi per il vasto mondo), altri “socialisti” sostengono invece il campo opposto: si tratta di due facce della stessa medaglia chiamata appunto Imperialismo Mondiale, il quale rappresenta il mostruoso campo nel cui seno uomini e donne vengono sfruttate e oppresse in mille modi, mentre la natura è trattata come mera risorsa economica da “mettere a profitto”.
I «socialisti» qui presi di mira possono anche credere in ottima fede che per il “popolo” ucraino sia meglio stare dalla parte dell’«Occidente Collettivo» a guida statunitense, ma acquisterebbero in serietà, almeno ai miei occhi, se non tirassero in ballo la balla dell’”autodecisione”. So bene che si tratta di un consiglio destinato a cadere nel vuoto. Ma non fa niente. Ci tengo però, sempre per quel che vale, a rinnovare la mia vicinanza umana e politica con gli ucraini e i russi (centinaia di migliaia di giovani mandati al macello dal regime putiniano), presi nella morsa dell’Imperialismo Unitario, come lo sono del resto anche le classi subalterne italiane, chiamate a sostenere economicamente e politicamente la partecipazione del governo italiano al conflitto armato, in vista di quella “pace” che darà via all’assai profittevole (almeno così si spera!) ricostruzione dell’Ucraina – con un occhio al sempre possibile regime change in Russia. Bisogna pagare un prezzo oggi per poterci sedere domani al “tavolo della pace”!
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