CHI SOFFIA DAVVERO SULL’ANTISEMITISMO da IL MANIFESTO e IL FATTO
Chi soffia davvero sull’antisemitismo
ISRAELE / PALESTINA. L’attacco israeliano a Francesca Albanese (Onu) omette tutti gli altri fattori che confluiscono nella ostilità dei palestinesi verso le forme di oppressione che subiscono dallo stato ebraico
Marco Bascetta 14/02/2024
I tweet sono una trappola mortale. Perché l’asserzione senza argomentazione si espone con ogni probabilità alle esecuzioni sommarie.
Prendiamo il caso di Francesca Albanese, l’inviata speciale delle Nazioni unite per i territori palestinesi occupati, di cui Francia, Germania e una associazione di avvocati internazionali chiedono le dimissioni.
L’accusa che le viene rivolta è di avere infranto un tabù mettendo in relazione il massacro perpetrato il 7 ottobre dello scorso anno in Israele dalle milizie di Hamas con lo stato di oppressione in cui vive da decenni la popolazione palestinese, piuttosto che con una pura e semplice insorgenza di violenza antisemita.
Le due cose non sono però così fortemente in contraddizione, non si escludono a vicenda. Non vi è dubbio alcuno che tra i palestinesi, soprattutto quelli più vicini al fondamentalismo islamico, o segnati da un vissuto tragicamente ferito, siano andati affermandosi sentimenti antisemiti e fenomeni di odio antiebraico che hanno decisamente influito sulle forme efferate e mostruose dell’aggressione sferrata dai miliziani di Hamas lo scorso 7 di ottobre.
Non si può negare, tuttavia, che le condizioni in cui versa la popolazione palestinese e le vessazioni a cui è sempre più pesantemente sottoposta abbiano a loro volta contribuito al diffondersi di questi sentimenti di odio. Del resto, anche sul versante dei coloni fondamentalisti ebraici l’odio razziale non difetta e nemmeno il ricorso sistematico ad atti di violenza indiscriminata. La destra che governa a Gerusalemme si è dedicata senza sosta a esasperare le tensioni. La storia ha più volte mostrato come la reazione a condizioni di oppressione estrema possano darsi nelle forme più spaventosamente crudeli. Forse solo il Sudafrica con l’istituzione nel 1995 della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, ha contraddetto questa tragica concatenazione, laddove ci si sarebbe potuti attendere una soluzione alla Dessalines (il generale nero che, dopo aver proclamato l’indipendenza di Haiti, procedette nel 1804 allo sterminio di tutti i coloni bianchi). Questo non per procedere a paragoni indebiti, ma per ricordare che nessuna motivazione, sia pur legittima come la rivolta contro la schiavitù, è immune dal ricorso alla violenza più cieca e turpe o in grado di giustificarla.
Il tabu ha però, a ben vedere, una sua precisa funzione: usare l’argomento dell’antisemitismo non tanto per denunciarne l’effettiva velenosa presenza, ma per mettere in ombra tutti gli altri fattori che confluiscono nell’ostilità dei palestinesi verso le politiche e le forme di controllo esercitate ai loro danni dallo stato ebraico. Citare questi fattori non costituisce in alcun modo una giustificazione dei crimini commessi dai miliziani sul territorio israeliano. Ometterli, invece, vuol dire sottrarsi a ogni responsabilità politica e posizionarsi sul terreno dell’inimicizia assoluta, senza soluzione diversa dall’annientamento dell’avversario. Che uno stato in guerra si autoassolva di ogni crimine e si dipinga, contro ogni evidenza, come il più umano, corretto, democratico e rispettoso del diritto è cosa consueta. Ma per il resto della comunità internazionale, compresi gli alleati di Israele, stare a questo gioco di propaganda bellica non è certo un comportamento dignitoso.
Edith Bruck: “Bibi uccide lo Stato nato sulle ceneri di Auschwitz”
SCRITTRICE, REGISTA E POETESSA – “Le scelte del governo provocano uno tsunami di antisemitismo. Solo il dialogo può salvarci”
ALEX CORLAZZOLI 14 FEBBRAIO 2024
“Il premier Benjamin Netanyahu sta distruggendo Israele, il nostro Stato nato sulle ceneri di Auschwitz”. A parlare con una disarmante parresia è Edith Bruck, scrittrice, regista e poetessa che nella primavera del 1944, a 13 anni, venne presa dal ghetto di Sátoraljaújhely (in Ungheria) e deportata nel campo di sterminio polacco. Anche lei, a meno di un mese dalla ricorrenza del Giorno della Memoria, ha scelto di firmare la lettera-appello, scritta da un gruppo di ebree ed ebrei italiani che si sono fatti una domanda: “A cosa serve la memoria se non aiuta a fermare la morte a Gaza e in Cisgiordania?”. Per Bruck – che ha recentemente pubblicato per La nave di Teseo il libro I frutti della memoria. La mia testimonianza nelle scuole – quanto sta accadendo ai palestinesi è “insopportabile”.
Lei ha sempre condannato Hamas. Ora, con questa missiva che ha sottoscritto, tuttavia, sembra guardare più in casa propria?
Non ho cambiato idea, rispetto al passato. Tengo particolarmente all’esistenza di Israele ma non sono per nulla d’accordo con l’operato del premier Benjamin Netanyahu. Ciò che sta facendo a Gaza ha delle conseguenze in Europa, ma a lui non interessa tutto ciò. Le sue scelte hanno suscitato uno tsunami di antisemitismo preoccupante eppure nulla lo ferma.
Nell’appello avete scritto che “la risposta del governo israeliano vi ha sconvolti: Netanyahu, pur di restare al potere, ha iniziato un’azione militare che ha già ucciso oltre 28.000 palestinesi e molti soldati israeliani, mentre a tutt’oggi non ha un piano per uscire dalla guerra e la sorte della maggior parte degli ostaggi è ancora incerta”.
Solo il dialogo può risolvere questo conflitto che non ha proporzioni. Non si possono perdere 28 mila vite: ogni esistenza, di là della fede di ciascuno, è preziosa: l’ho sempre detto e continuerò ad affermarlo. In Israele stanno manifestando contro Netanyahu, chiedono le sue dimissioni ma il premier non lascerà mai il suo incarico perché altrimenti dovrebbe affrontare i processi a suo carico. Terrà il potere finché potrà ma sia chiaro: anche il governo che lo sostiene è colpevole.
Sempre nella lettera-appello è ribadito “che molti ebrei della diaspora non riescono a cogliere la drammaticità del presente e le sue conseguenze per il futuro”.
Netanyahu ha danneggiato gli ebrei della diaspora perché ha ridato vigore all’antisemitismo che non è mai scomparso ed ora è aumentato. Sia chiaro: il primo ministro non eliminerà mai né Hamas, né il movimento Hezbollah né lo jihadismo, temo, invece, che stia distruggendo Israele nato sulle ceneri di Auschwitz.
Oggi si parla di genocidio facendo riferimento al dramma vissuto dagli ebrei con lo sterminio della seconda guerra mondiale. È paragonabile?
No. È utile ricordare quanto accaduto per leggere l’oggi ma la Shoah non è paragonabile a nessun altra cosa. C’è in atto il tentativo di usare termini che rischiano di sminuire ciò che è stato il fascismo, il nazismo, la deportazione. Oggi è diventato difficile prendere la parola perché spesso si finisce per essere mistificati. Nei mesi scorsi in un’intervista al Corriere della Sera dissi ironicamente che dovevamo ringraziare Matteo Salvini e Giorgia Meloni che difendono Israele: quelle parole sono passate come se io fossi davvero grata al ministro e alla premier ma il senso era un altro. Facciamo attenzione all’uso dei termini. Non svuotiamoli del loro senso e significato.
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