CARO PANEBIANCO, IL PREMIERATO È L’ANTICAMERA DELLA DITTATURA da IL FATTO e IL MANIFESTO
Caro Panebianco, il premierato è l’anticamera della dittatura
Filoreto D’Agostino 10 Agosto 2024
Nell’editoriale del Corriere del 30.07 il professor Panebianco accusa vari settori della politica e dell’apparato pubblico di ostacolare una riforma costituzionale che assicuri stabilità governativa. Gli strali si rivolgono contro: a) il “club Bella Ciao” (sic): immaginiamo una Spectre di rito bizantino, tipico di una certa nomenklatura di sinistra, che ricorre a ogni strumento per mantenere lo status quo. Fatta eccezione, ovviamente, per la funesta riforma del titolo V della Costituzione dalla quale scaturisce l’obbrobrio dell’autonomia differenziata. Solo che l’azione del “club” contro la riforma costituzionale del 2016, censurata da Panebianco, si è rivelata meritoria. Quel progetto fu respinto per la sua intrinseca antidemocraticità perché, tra l’altro, riduceva le minoranze a riserva indiana e consentiva d’instaurare un’autentica democratura a chi vincesse le elezioni col premio maggioritario assicurato dall’Italicum; b) le forze incapaci di conseguire la maggioranza ma abili nell’inserirsi nei cambi di governo resi necessari dall’instabilità politica (leggi Pd). L’argomento, tuttavia, può essere riproposto anche per chi, perdendo le elezioni, ritorna minoranza: ciò può rivelarsi non decisivo per individuare la specifica categoria; c) le alte cariche statali abilitate a forme di veto: argomento piuttosto nebuloso che non tiene conto della scelta operata dalla politica in base allo spirito servizievole (e non di servizio) dei nominati ai quali, di norma, non si chiede competenza. Il loro veto è generalmente limitato a profili d’interesse personalistico e secondario, tipico della loro natura, non già di servitori ma di “roditori di Stato”. Quella classe dirigente ha dimostrato inequivocabilmente carenza di visione strategica ed effettive capacità operative; diversamente la situazione italiana sarebbe assai migliore e il Pnrr marcerebbe a forte velocità; d) la magistratura, che preferirebbe lo status quo per continuare a operare come contropotere. La visione del cattedratico risulta confusa ed eticamente inaccettabile fino a rischiare una contiguità con l’art. 342 c.p. che punisce l’oltraggio al corpo giudiziario. Tanto premesso, nessuno nega che in quello, come in ogni altro ordinamento, vi siano luci e ombre (a partire dal Csm).
Le riforme costituzionali tentate nel passato e specialmente quella del premierato aprono, in modo obliquo, all’assoggettamento della magistratura alla direzione governativa, minandone la terzietà. L’autore, peraltro, sottace questi aspetti: 1) la maggioranza aveva ottenuto il consenso elettorale sul presidenzialismo e non sul premierato. Il presidenzialismo è modello costituzionale coerente ai principi democratici perché presuppone una doppia e diversa legittimazione del potere esecutivo e del legislativo e, come l’accademico Panebianco sa assai meglio di chi scrive, questa è la tesi di fondo di importantissimi scienziati della politica: ci limitiamo a Duverger, Sartori, Shugart e Carey, Elgie; 2) la stabilità governativa è tutt’altro che assicurata con il premierato, come dimostra la breve esperienza israeliana, mentre una riforma tipo cancellierato (articolata secondo il modello tedesco) garantirebbe proprio quel risultato; 3) il premierato è, in realtà, un’autostrada senza limiti di velocità per portare il Paese all’autocrazia assoluta. L’intento iniziale era probabilmente di promuovere governabilità e rappresentanza democratica, solo che quello strumento non risponde sotto alcun profilo a tali finalità. Basta riflettere sul meccanismo derivante dal cumulo delle maggiori potestà pubbliche (normative ed esecutive) in una sola persona per avvedersi che è il sistema premierato a determinare la sovrapposizione di un’unica volontà su un intero popolo: cioè l’anticamera della dittatura.
Autonomia, cosa ci dice il disagio tardivo della destra
Riforme. L’effetto di questa legge sarebbe che chi è ricco “scappa” con la cassa, chi non lo è si fa carico anche di chi non contribuirà più. Il bilancio dello stato diventerebbe un incubo
Alfiero Grandi 10/08/2024
È evidente che una parte della destra percepisce il pericolo di perdere consensi, soprattutto nel Mezzogiorno, come conseguenza dell’Autonomia differenziata. Sono emerse contrarietà clamorose in Calabria, in Basilicata – ma non solo – che hanno spinto a cercare di mettere una pezza al grave errore di avere sottovalutato le conseguenze della legge Calderoli, che spalanca le porte a una procedura senza ritorno pur di concedere l’autonomia regionale differenziata a chi la vuole. L’ideologo è Zaia che nei documenti della sua regione ha fatto scrivere chiaro che punta a trattenere in Veneto il 90% delle entrate fiscali, in sostanza vuole diventare una regione speciale.
Se le regioni più ricche dovessero seguire questo esempio, ottenendo questo esito avremmo lo Stato in bancarotta perché tutto il debito pubblico, anche quello del Veneto, della Lombardia e altre regioni ricche sarebbe a carico delle regioni meno ricche che non chiedono l’autonomia perché questa legge glielo impedisce in quanto afferma che l’Autonomia regionale differenziata non deve comportare nuovi oneri per lo stato. Nuovi oneri no, quindi nessuna solidarietà, ma oneri vecchi si e ovviamente da pagare con i proventi delle regioni che hanno meno entrate perché più deboli.
L’EFFETTO DI QUESTA LEGGE sarebbe che chi è ricco “scappa” con la cassa, chi non lo è si fa carico anche di chi non contribuirà più. Il bilancio dello stato diventerebbe un incubo, i tagli verrebbero fatti – obtorto collo – a valanga, pensioni in primis. Perché Fratelli d’Italia e Forza Italia abbiano consentito l’approvazione di questa legge che distruggerebbe l’unità nazionale è un mistero. Quelli fuggiti con la cassa avrebbero un’amara sorpresa perché scoprirebbero il giogo dello spread, cioè di un’Italia non in grado di garantire il debito pubblico, con la conseguenza di un aumento del costo del denaro e dell’inflazione, con esiti imprevedibili.
Purtroppo gli allarmi sono arrivati tardi, la maggioranza parlamentare pur di mantenere il potere ha regalato alla Lega questo pegno per il governo. Non hanno ascoltato le audizioni, gli esperti, gli organi di controllo sui conti, oltre che le associazioni che da tempo denunciano con nettezza il pericolo. Dalle risposte di Giorgia Meloni in queste ore non viene un messaggio rassicurante: avanti tutta. Un messaggio alla maggioranza e al governo, uno schiaffo a quanti chiedono rinvii, prudenza, ripensamenti.
RESTA SOLO il referendum abrogativo, certo sulla base delle firme già raccolte, anche se continueremo a chiedere di firmare. È già campagna elettorale. Per convincere a votare occorrono centinaia di migliaia di persone convinte, coinvolte e convincenti. La raccolta di firme conferma che a questo si può arrivare.
Se Meloni dichiara che si continua vuol dire che punta ad un referendum senza quorum. Già visto quando qualcuno consigliò di andare al mare, senza fortuna. Se gli elettori capiscono che c’è il trucco reagiscono e in questo caso c’è ragione di fiducia, se riusciremo a far capire che è importante votare, che l’obiettivo vale, perché si bloccherebbe una legge sbagliata concessa alla Lega per restare al potere ma che farebbe danni enormi all’Italia, così il quorum dovrebbe esserci.
Non è una certezza ma è possibile e il giochetto furbo di Meloni potrebbe evaporare, anche perché facendo due conti con poco più di 25 milioni di votanti ci sarebbe il quorum e chi spinge per in non voto fa una scelta furba ma solo se il quorum non ci fosse. Inoltre come spiegherà che propone di votare per eleggere il capo del governo stravolgendo la Costituzione ma di non votare al referendum?
AMMETTIAMO, sperando che non sia così, che il quorum non ci sarà ma ci saranno più di 12.300.000 No nell’urna, cioè più dei voti che la maggioranza di destra ha preso nel 2022. Si scoprirà a quel punto la semplice verità che una maggioranza raccogliticcia, per il potere, ha ottenuto con il 44 % dei voti il 59 % dei parlamentari che usa come una clava per fare passare tutto, compresa l’autonomia regionale differenziata.
Con quale diritto una maggioranza parlamentare posticcia e pasticciona può pretendere di mandare avanti questa legge Calderoli ? Per attuare la Costituzione ? Certo ci sono articoli del titolo V del 2001 come il 116 e il 117 che andranno cambiati perché si sono rivelati sbagliati, tanto che Calderoli li strumentalizza, ma la Costituzione non è solo gli articoli 116 e 117, anzi queste riscritture sono altro dai principi fondamentali che una parte importante di questa destra mal sopporta, tanto che vuole cambiarla in punti decisivi o consente a una sua parte di stravolgerla pur di restare al potere.
Bene ha fatto la Puglia a sottoporne l’incostituzionalità alla Corte, speriamo seguano altre, i presidenti Occhiuto e Bardi non hanno nascosto il loro disagio ma potrebbero fare di più, ad esempio sostenere il referendum e presentare la loro istanza di incostituzionalità alla Corte.
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