CARBONI: “ARLECCHINISMI CHE NON SERVONO” da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CARBONI: “ARLECCHINISMI CHE NON SERVONO” da IL FATTO

Province, Carboni (sociologo): “Logica da Campanile alla Arlecchino, ma dove vogliamo andare così…”

IL PROFESSORE  – “Pnrr e Covid insegnano che occorrono solo 10 Regioni, altro che province”

ILARIA PROIETTI   6 GIUGNO 2023

“Invece di guardare avanti si fa retromarcia tornando ad arlecchinismi che non servono a nessuno. Se non alla politica e alle sue clientele”. Carlo Carboni, professore di Sociologia economica all’Università di Ancona e autore tra l’altro di Élite e classi dirigenti e Società cinica (Laterza) dice – sconsolato – che non ci siamo proprio: il progetto di riesumare le province che fa passi da gigante al Senato, non se lo spiega. “È al massimo un diversivo quando servirebbe ripensare lo state building, altro che province. Qui invece mi pare che si cerchi di incastonare tra comuni e regioni una vecchia istituzione che, a essere generosi, non è esattamente la priorità”.

Secondo la bozza che circola in queste ore a Palazzo Madama ci saranno un sacco di poltrone in più…

Guardi, non starò qui a ricordare per quale motivo si decise di dire basta alle province come le abbiamo conosciute a cui poi su pressione dell’opinione pubblica, la politica, obtorto collo certo, disse stop. Mi limito a dire che ai tempi d’oro, tra presidenti, assessori, consiglieri in comuni, regioni e province, si arrivava a 200mila posti a sedere.

Poi si è scelta un’altra strada.

Per risparmiare e razionalizzare. Ma soprattutto era necessario trovare un baricentro giusto.

Che però non è stato trovato. E adesso si torna all’antico.

Sempre perché la logica è autoreferenziale. Nel senso che le scelte che si fanno servono soprattutto a risolvere i problemi della politica non quelli del Paese. E da quelle parti si tende a ragionare sul piccolo cabotaggio. Succede così che ritornino le solite vecchie ricette anziché guardare a una prospettiva diversa nell’ottica del necessario rafforzamento dello Stato.

Intanto l’esigenza è quella di moltiplicare le poltrone. Si dice in nome della democrazia…

Da noi prevale il molto piccolo in tutti i sensi…

Poi però si paga pegno…

Guardiamo cosa sta accadendo sul Pnrr per via dei tanti piccoli comuni che non hanno le capacità progettuali, i tecnici. E guardiamo al tipo di progetti che si intenderebbe finanziare con quei soldi, progetti micro, non esattamente strategici. Anche qui prevale il piccolo cabotaggio locale, il policentrismo alla Arlecchino. Ma dove pensiamo di andare? Altrove, con territori molto più ampi del nostro, l’assetto è diverso. In Germania i Länder sono 16 in tutto, più o meno la scala dimensionale che c’è anche in Francia e in Spagna. Qui da noi e – ripeto – con un territorio molto più contenuto, ci sono 20 regioni, oltre 8mila comuni e ora rieccoci alle province, che nel 2012 erano arrivate fino a quota 110.

Si dice che questa moltiplicazione serva a tutelare la diversità…

Che è un valore e una ricchezza, ma solo se non è schiacciata sulla logica del campanile. Ci sono regioni in Italia del tutto affini dove si parla persino lo stesso dialetto. Perché non pensare a unirle?

Per questioni di orticello?

D’accordo. Ma se parliamo di ciò che andrebbe fatto, credo che il problema dei problemi sia proprio la questione del giusto baricentro, che serve anche a selezionare meglio la classe dirigente e una Pubblica amministrazione preparata, all’altezza, solida. E poi vogliamo parlare del Covid?

Cioè?

Mi riferisco a ciò che è accaduto durante la pandemia, ossia le contraddizioni tra regioni e governo centrale che dovrebbero indurci a riflettere. Proprio per questo mi permetto di dire che piuttosto che di autonomia, bisognerebbe parlare del riassetto che serve per mettere il Paese a sistema. Anziché di province bisogna avere il coraggio di dire che bastano massimo 10 regioni. Ma chi glielo dice alla politica?

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