CALDEROLI PERDE PEZZI. AUTONOMIA IN PANNE da IL MANIFESTO
Dimissioni eccellenti, Calderoli perde pezzi. Autonomia in panne
LO SPACCA ITALIA. Amato, Gallo, Pajno e Bassanini lasciano il Comitato per i Livelli essenziali delle prestazioni: «Non ci sono più le condizioni per la nostra partecipazione». Critiche sulla definizione dei parametri per assicurare i diritti civili e sociali a tutto il Paese, sul ruolo del Parlamento e sulle materie da sottrarre alla devoluzione
Adriana Pollice 05/07/2023
Quattro dimissioni di peso dal Comitato per l’individuazione dei Livelli essenziali delle prestazioni hanno dato l’ennesima picconata al progetto di autonomia differenziata targato Roberto Calderoli. «Il governo ritiri il ddl» hanno attaccato le opposizioni, da Azione ad Avs. La lettera, indirizzata al ministro leghista e al presidente del Clep Sabino Cassese, è datata 26 giugno. Ad abbandonare i lavori sono stati gli ex presidenti della Corte Costituzionale Giuliano Amato e Franco Gallo, l’ex presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e l’ex ministro Franco Bassanini: «Non ci sono più le condizioni per una nostra partecipazione».
LA MISSIVA termina così: «Restiamo consapevoli dell’importanza che avrebbe per il Paese una completa e corretta attuazione delle disposizioni costituzionali ricordate». Si tratta della riforma del Titolo V, quella che ha aperto la porta all’autonomia differenziata. Del resto a battezzare l’intervento sulla Costituzione fu, nel 2001, il governo Amato di cui Bassanini era ministro della Funzione pubblica.
I QUATTRO SCRIVONO: «Abbiamo apprezzato, caro Ministro, alcune tue importanti affermazioni, in particolare allorché hai escluso trasferimenti di competenze in materia di norme generali sull’istruzione. Abbiamo anche apprezzato il fatto che Sabino Cassese abbia proceduto all’istituzione di un nuovo sottogruppo dedicato alla individuazione dei Lep nelle materie non ricomprese nel perimetro dell’art. 116 terzo comma». Cioè quelle esercitate dagli enti regionali.
RESTANO PERÒ I PROBLEMI di fondo: «Prima dell’attribuzione di nuovi compiti e funzioni ad alcune Regioni con le corrispondenti risorse finanziarie, è necessaria la determinazione di tutti i Lep attinenti all’esercizio di diritti civili e sociali e la definizione del loro finanziamento secondo l’art. 119 della Costituzione». Occorre, quindi, che vengano individuati «i nuovi Livelli essenziali delle prestazioni per assicurare effettivamente il superamento delle disuguaglianze territoriali nell’esercizio dei diritti civili e sociali. Vi sono infatti materie nelle quali il legislatore non ha mai proceduto a determinare i Lep e molte altre nelle quali questa determinazione è stata parziale». Inoltre, non è mai stato fatto il lavoro di comparazione dei Lep con le risorse in modo da definire «quali livelli essenziali effettivamente sono assicurabili a tutti, senza discriminare nessuno o creare insostenibili oneri per la finanza pubblica».
L’AUTONOMIA, è stato stabilito, sarà a costo zero perché non dovranno derivarne «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», le regioni più ricche vogliono trattenere le tasse riscosse quindi non c’è spazio per applicare i Lep. Nella lettera si legge: «Come avevamo proposto, la contraddizione fra il dettato costituzionale (116, 117 e 119) e le disposizioni della legge di bilancio si potrebbe risolvere modificando queste ultime mediante emendamenti al disegno di legge Calderoli, facendo così correttamente prevalere le norme costituzionali. Ma abbiamo inteso che questa proposta non è condivisa né da te (Calderoli ndr) né da Sabino Cassese».
ALTRI ELEMENTI DI SCONTRO le materie oggetto di devoluzione e il ruolo delle Camere: «Non è stata parimenti condivisa la nostra proposta di consentire al Parlamento di definire preventivamente limiti alla negoziazione delle intese, da intendersi come contenuti non negoziabili, quali per esempio le norme generali sull’istruzione o le grandi infrastrutture nazionali di trasporto, le reti di telecomunicazione e le infrastrutture nazionali dell’energia elettrica e del gas». E ancora: «Spettano al Parlamento le scelte fondamentali sull’allocazione delle risorse pubbliche. Il ricorso al criterio della spesa storica non risolve il problema perché riflette le disuguaglianze territoriali che la Costituzione mira a superare».
IL CLEP avrebbe dovuto consegnare il 30 giugno al governo una ricognizione delle funzioni da devolvere e la relativa spesa storica dello Stato più la modalità per definire i Lep e i fabbisogni finanziari. La scadenza non è stata rispettata. Il percorso del comitato era cominciato con le dimissioni, a pochi giorni dall’insediamento, dell’ex presidente della Camera Luciano Violante, dell’ex ministra Anna Finocchiaro e del giurista Franco Gaetano Scoca. Poi sono arrivate le bocciatura da parte di istituzioni autorevoli come Corte dei Conti, Ufficio parlamentare di Bilancio e Banca d’Italia.
CASSESE ieri non ha commentato, Calderoli invece si è detto stupito: «Avevamo affrontato il tema dei livelli essenziali di tutte le materie e non solo quelle riferite agli enti territoriali, era stato creato un sottogruppo concordando che questa estensione non fosse pregiudiziale alla definizione dei Lep delle 23 materie possibilmente oggetto di trasferimento alle regioni. Il governo va avanti». Cioè prima l’autonomia alle regioni e poi i diritti civili e sociali.
IL PD è partito all’attacco: «La lettera – il commento di Francesco Boccia – dimostra che l’autonomia differenziata è solo una bandierina del Carroccio che non ha possibilità di essere realizzata se non a costi che il Paese non si può permettere». E Marco Sarracino: «Il ddl Calderoli sta lentamente naufragando». La 5S Alessandra Maiorino: «Meloni metta davvero l’interesse della nazione davanti ai suoi sogni di gloria legati al premierato e fermi questo progetto sconsiderato». Da Azione Mara Carfagna: «È il ko a una riforma iniqua e sbagliata». Infine l’Anpi: «In Italia sono cresciute a dismisura le diseguaglianze, occorre ripensare l’intera materia rinunciando a una visione competitiva delle autonomie promuovendo, viceversa, un’idea di regionalismo solidale». FdI tira dritto, Rampelli: «Dimissioni dal sapore politico».
Fuga tardiva dalla trappola del ministro
SETTE IN MENO. Il Comitato per i livelli essenziali delle prestazioni (Clep) è stato scosso da una raffica di abbandoni eccellenti. Hanno lasciato la compagnia (in ordine rigorosamente alfabetico) Amato, Bassanini, Finocchiaro, Gallo, […]
Massimo Villone 05/07/2023
Il Comitato per i livelli essenziali delle prestazioni (Clep) è stato scosso da una raffica di abbandoni eccellenti. Hanno lasciato la compagnia (in ordine rigorosamente alfabetico) Amato, Bassanini, Finocchiaro, Gallo, Paino, Scoca, Violante. La loro presenza aveva sollecitato la orgogliosa dichiarazione del ministro Calderoli di avere messo in piedi la sua mini-Costituente. Per lui, la rappresentazione della paternità di una nuova Costituzione per una nuova Italia. Ma, in fondo, solo una stepchild adoption dalla prima Repubblica.
Certo, l’accettazione dell’invito di Calderoli aveva suscitato qualche sorpresa, e magari sconcerto. Non tanto per i ruoli di grande prestigio ricoperti in passato dagli interessati, quanto per l’evidente strumentalità della chiamata da parte del ministro. Era del tutto ovvio che nella situazione data, laddove avrebbero dovuto le opposizioni far emergere contraddizioni nello schieramento di maggioranza, il ministro puntava a un obiettivo esattamente opposto.
Tra l’altro con l’effetto collaterale di consolidare la mordacchia messa al parlamento, palesemente il luogo che il ministro più di ogni altro voleva e vuole evitare. Una richiesta abile e politicamente sensata di Calderoli, che è stato piuttosto ingenuo non respingere esplicitamente.
La scelta di scendere dal carro in corsa è del resto nell’interesse dei partenti. Nel copione scritto da Calderoli con la consueta lucidità politica era infatti evidente che il regista dell’operazione è lo stesso ministro, che si appoggia per consolidare la sua posizione al ceto politico regionale e in particolare alla lobby dei presidenti. L’aiuto regista è Cassese, indubbiamente in grado di offrire un sapere tecnico di pregio che si è volto, a quanto si legge da ultimo, alla riduzione dei Lep a livello dei singoli ministri. Il che, per qualcosa che parte dalla potestà legislativa esclusiva dello stato, è davvero un bell’andare. Dopo il regista e l’aiuto-regista, non possono esserci mattatori e prime donne. Alla fine, ci si confonde nella cacofonia delle voci e dei documenti, in cui ci si illude che il destino di un paese si giochi sull’aggiunta di una parola o di una frase.
Supponiamo poi che la saggia decisione di abbandonare sia stata sollecitata non da astratte contrapposizioni di schieramento, ma dall’acquisita consapevolezza che i Lep sono in realtà una scatola vuota, ed anzi uno specchietto per le allodole. Questo si direbbe oggi indiscutibile, dopo la documentazione consegnata in occasione delle audizioni presso la prima commissione affari costituzionali del senato, in specie da Bankitalia e Ufficio parlamentare di bilancio. Non è più possibile ignorare – ma ben si sapeva da tempo – che non vi siano oggi, e prevedibilmente non vi saranno in futuro, le condizioni perché i Lep possano essere efficacemente implementati come strumento di riduzione di divari e diseguaglianze, e non rimangano scritti solo sulla carta.
Che rimane allora? Una frammentazione del paese attraverso la pesca miracolosa di funzioni in quelle 500 e più che lo stesso Calderoli certifica come trasferibili alle regioni, senza escludere quelle strategiche per il sistema-paese. Non è irrilevante la lettura del dossier di diritto comparato elaborato dal suo ministero che definisce come particolarmente interessante il modello spagnolo delle comunità autonome. Un modello che secondo una lettura ha favorito la fallita secessione della Catalogna. E che lo stesso ministro Calderoli avanzava come proposta nel 2012, per passare poi nel 2013 a una autonomia differenziata da attribuire alle regioni che avessero dato vita a una macroregione.
La scossa indubbiamente data dalle dimissioni al Clep e al disegno del ministro dovrebbe rendere Giorgia Meloni consapevole che la battaglia sulle istituzioni è già in corso, qui e ora. Non può illudersi, in specie, che un’Italia frammentata dall’autonomia differenziata sia poi unificata da un premier più forte. Per l’ovvio motivo che l’autonomia differenziata svuoterebbe di poteri, funzioni e risorse palazzo Chigi, oltre che Montecitorio e Palazzo Madama.
Se poi si formasse una macroregione a dominanza leghista attraverso l’articolo 117 comma 8 della Costituzione – obiettivo tecnicamente possibile – qualunque premier diverrebbe una costosa superfetazione istituzionale. Coerente espressione di un partito che sarebbe a quel punto casa di patrioti macroregionali.
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