BISOGNA SPIEGARLO: “QUESTA RIFORMA FA MALE ANCHE AL NORD” da IL FATTO
Risiko dei ricorsi: il dossier delle Regioni per blindarli
ALTRO CHE TRICOLORE – 60 giorni per impugnare la legge Calderoli. E sul quesito c’è lo scoglio della parte che riguarda il fisco
WANDA MARRA 22 GIUGNO 2024
Il fronte del No all’autonomia differenziata si organizza a tutti i livelli. Ma la battaglia è in salita, tra incognite di tutti i generi. Dagli scogli giuridici per il ricorso alla Consulta all’ammissibilità del referendum abrogativo, senza dimenticare la difficoltà di raggiungere il quorum (la metà dei votanti più uno).
Vincenzo De Luca, presidente della Campania, ha annunciato per primo che la Regione farà ricorso alla Consulta. Scriverlo, però, è tutt’altro che facile. In Campania studiano da tempo, ma hanno intenzione di prendersi tutti i 60 giorni consentiti per impugnare la legge. De Luca stesso ieri ha lanciato una delle sue provocazioni: “Siamo disponibili tutti quanti ad approvare un emendamento che vieta a tutte le Regioni di stipulare contratti integrativi regionali per la sanità e la scuola? Così potremmo anche evitare referendum e ricorsi alla Corte costituzionale”. Michele Emiliano, presidente della Puglia, ha ribadito quanto detto ieri al Fatto, ovvero che anche lui sta valutando il ricorso. Chiarendo però le difficoltà del caso: “La Regione Puglia con i suoi uffici sta valutando con grande attenzione ogni possibilità, compresa l’impugnazione davanti alla Corte costituzionale in via diretta della legge Calderoli che, come noto, per le Regioni è possibile solo per violazioni della sfera di competenza regionale”. Cosa non così facile da dimostrare. Ma, per dirla ancora con Emiliano, “l’unione fa la forza e quindi condivideremo tutte le iniziative che proporranno le altre regioni”. Roberto Calderoli si aspettava l’alzata di scudi, tanto che si era organizzato prima. Lo denuncia, anche qui, Emiliano: “Calderoli, in maniera dolosa, ha inserito la riforma dell’autonomia differenziata in un annesso finanziario, quindi di natura fiscale, alla legge di Bilancio”. La Corte costituzionale in casi precedenti per respingere dei referendum ha fatto riferimento alla qualifica che la legge dà di se stessa: il referendum abrogativo delle norme fiscali è vietato. Non a caso Alessandra Todde, presidente della Sardegna, esplicitando l’intenzione di sottrarre a De Luca la guida del fronte del No, parla di una battaglia a tutto tondo, dal ricorso al referendum. Una strada che indica pure Marco Sarracino, responsabile Mezzogiorno Pd.
E dunque, le Regioni cercheranno di trovare la strada giusta sia per ricorrere sia per chiedere il referendum (ne servono 5), anche provando a coinvolgere quelle a guida centrodestra, con la Calabria di Roberto Occhiuto in testa. Tanto più che Stefano Bonaccini presidente dell’Emilia-Romagna, si dimetterà la settimana prossima per andare a Bruxelles. Le regioni rosse perdono il quorum: la Regione non potrà promuovere o adottare atti formali, come la richiesta di un referendum abrogativo. Ieri è stata l’Anci Calabria a uscire pubblicamente con una nota della presidente, Rosaria Succurro: “I sindaci calabresi sono molto preoccupati”.
L’ Anci nazionale però non potrà prendere una posizione ufficiale, nonostante la contrarietà del presidente, Antonio Decaro, visto che i sindaci sono di ogni colore politico. E intanto la politica – e non solo – si organizza. “Siamo pronti per la formulazione del quesito referendario e per raccogliere le firme”, ha detto Giuseppe Conte. E Maurizio Landini, segretario della Cgil, ha annunciato: “Stiamo già lavorando per raccogliere le firme per un referendum abrogativo coinvolgendo tutti i soggetti sociali e politici che nel nostro Paese vogliono contrastare questo disegno”. Il M5S ha fatto un appello a Sergio Mattarella perché rinvii la legge alle Camere. Ma il Quirinale è allertato a prescindere e si riserva di studiare la legge con estrema attenzione.
“Bisogna spiegarlo: questa riforma fa male anche al Nord”
IL PUNTO DI VISTA – “Caos normativo, dumping fiscale fra territori e un governo senza peso in Ue”
MARCO PALOMBI 22 GIUGNO 2024
Il punto di vista è, se non altro, nuovo e lo è fin dal titolo del suo libro, appena uscito per Castelvecchi: Perché l’autonomia differenziata fa male anche al Nord. Stefano Fassina, già viceministro dell’Economia, una vita nella sinistra politica dentro e fuori il Parlamento e i partiti, dice al Fatto di aver scritto per fornire “materiali a una futura campagna referendaria, certo, ma il mio è anche il tentativo di far riflettere un pezzo di classe dirigente: quello che documento nel libro è frutto in larga parte del lavoro di Banca d’Italia, Upb, Confindustria, eccetera”.
Allora partiamo dall’inizio. Lei sostiene che l’autonomia è la risposta sbagliata a un problema reale. Quale?
Basta guardare le tabelle della Commissione Ue per capirlo: tutte le Regioni italiane arretrano quanto a Pil pro-capite, ma negli ultimi vent’anni quelle del Nord più di quelle del Mezzogiorno. Parliamo dei soldi che le persone hanno a disposizione per sé e la propria famiglia: al signor Brambilla gliene frega il giusto se il Pil della Lombardia cresce più di quello della Calabria per via della migliore dinamica demografica. Mettere la questione sul piano morale, cioè l’egoismo territoriale contro la solidarietà nazionale, non è una buona analisi e rischia di non creare buona politica.
Perché l’autonomia è la risposta sbagliata?
Intanto perché è antistorica. Mentre gli Stati nazione tornano al centro della scena per gestire le tempeste geopolitiche e i fallimenti del mercato noi riproponiamo “l’Europa delle Regioni”, una cosa che negli anni Novanta fu il tentativo di scardinare gli Stati proprio per lasciar fare al mercato (unico).
Sì, ma nella pratica?
Basti dire che un presidente del Consiglio domani non potrebbe negoziare il Pnrr o sarebbe molto debole nel farlo: cose come le infrastrutture, l’ambiente o le comunicazioni diventeranno competenze esclusive delle Regioni. Il problema è che l’Ue non è un grande mercato delle Regioni, ma dei governi. Mettiamola così: tra qualche tempo a rappresentare le imprese venete ai tavoli comunitari ci sarà Luca Zaia, quelle bavaresi avranno il cancelliere tedesco.
Ma la Germania è uno Stato federale.
Certo, ma loro hanno una Camera delle autonomie territoriali: queste materie le coordinano a livello centrale insieme alle autonomie, noi le deleghiamo in via esclusiva. È una differenza enorme. In questa partita si decidono cose assurde: nelle intese del 2017, citate dalla legge Calderoli, Veneto e Lombardia chiesero competenza anche sulle infrastrutture strategiche nazionali. Siamo già lenti adesso, mi dite quanto ci vorrà dopo a farle chiedendo a ogni Regione?
Mi faccia altri esempi di cosa ha da temere il Nord dall’autonomia differenziata.
Ma pensate a quelle imprese, moltissime, che producono o vendono in più Regioni e si ritroveranno ad avere potenzialmente 21 sistemi normativi diversi su materie vastissime: la sicurezza alimentare, gli standard ambientali o quelli per la sicurezza sul lavoro. Un handicap micidiale, specie per le piccole.
Più caos che semplificazione insomma. Che altro?
È scontato che le Regioni si faranno concorrenza al ribasso, una sorta di dumping fiscale e sociale interno: il Veneto, per dire, vuole una Zona economica speciale a Venezia o si pensi ai contratti regionali per sanità e scuola. Da non sottovalutare è il rischio di un’ulteriore privatizzazione dei servizi: la sanità lombarda ne è già un esempio senza l’autonomia e non penso che il signor Brambilla ne sia soddisfatto. Più in generale si potrebbe ricordare al Nord che sottrarre risorse pubbliche al Mezzogiorno, impoverirlo, alla fine sottrarrà molta domanda del Sud alle imprese del Nord.
Lei segnala anche il tema del debito.
Lasciando da parte il tema dell’impossibile futuro controllo sui conti pubblici, che pure c’è, il debito con l’autonomia resterebbe in capo allo Stato, ma un pezzo delle entrate che oggi lo garantiscono finirebbe invece alle Regioni per pagare le nuove competenze: questo farà aumentare i tassi sui nostri Btp e di conseguenza quelli sui prestiti alle famiglie e alle imprese.
In sostanza, il Nord deve svegliarsi.
Gli stanno raccontando favole. Con l’autonomia differenziata è l’Italia che si indebolisce a livello strategico e questo sarà un danno anche per gli interessi materiali degli imprenditori e dei lavoratori del Nord.
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