“BIDEN TRUMP O HARRIS POCO CAMBIA: È GIÀ TUTTO DECISO” da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“BIDEN TRUMP O HARRIS POCO CAMBIA: È GIÀ TUTTO DECISO” da IL FATTO

“Biden, Trump o Harris poco cambia: è già tutto deciso”

Jeffrey Sachs – L’economista di Harvard e Columbia al “Fatto”: “Finché gli Stati Uniti continuano a parlare di Kiev nella Nato, non ci sarà nessuna pace”

Riccardo Antoniucci  31 Luglio 2024

Ucraina, Cina, Medio Oriente. C’è una radice comune in questi conflitti, Jeffrey Sachs ne è certo, e porta a Washington. In particolare, alla Washington degli anni 90, dove è nata la dottrina neocon degli Stati Uniti come unica potenza globale: “L’arroganza americana e l’illusione dell’unipolarismo hanno reso il mondo meno sicuro”, afferma l’economista di Harvard e Columbia, pensatore controcorrente rispetto al mainstream accademico Usa. Ospite della scuola del Fatto, Sachs illustra il concetto citando il Doomsday Clock, l’orologio dell’Apocalisse ideato dal Bulletin of the Atomic Scientists: “Nel 1992 le lancette erano a 17 minuti dalla mezzanotte. Poi Clinton ha allargato la Nato, Bush ha invaso l’Iraq, Obama la Siria e la Libia, oltre a rovesciare Yanukovich in Ucraina, e Trump è uscito dal trattato sui missili nucleari a medio raggio. Ora siamo a 90 secondi dalla fine”.

Professore, a due anni e mezzo dall’invasione russa dell’Ucraina il fronte è fermo, Volodymyr Zelensky dice che rilancerà il suo piano di pace a novembre, Mosca lo ha già bocciato. Un accordo è possibile?

Il conflitto è iniziato dieci anni fa, con il rovesciamento di Viktor Yanukovich nel 2014 attivamente operato dagli Stati Uniti. Nel 2022 c’è stata una drammatica escalation. Questa guerra si sarebbe potuta evitare se gli Usa non avessero spinto per l’allargamento della Nato a est, nonostante i ripetuti allarmi della Russia. E dopo il 24 febbraio, si sarebbe potuta chiudere in poche settimane: Russia e Ucraina erano vicine a un accordo, poi Washington si è messa di traverso dicendo a Kiev di non scendere a patti con i russi, promettendo in cambio l’ingresso nella Nato. È un progetto che gli Usa hanno dagli anni 90, sbagliato fin dall’inizio. Gli europei lo sapevano, dietro le quinte lo dicevano, ma si sono allineati. Ora eccoci davanti alla tragedia: Kiev ha perso probabilmente 500 mila uomini e gli Usa continuano a dire che entrerà nella Nato, il che fa continuare la guerra. Dicevano lo stesso in Vietnam, in Iraq e in Afghanistan, sappiamo com’è finita. La strada per la pace è semplice: la Nato deve accettare la neutralità dell’Ucraina e la Russia deve fermare la guerra. Non succederà finché continuiamo a parlare di portare l’Ucraina nell’Alleanza.

Il dispiegamento di missili americani a lungo raggio in Germania dal 2026 ha suscitato le ire della Russia. C’è il rischio che l’escalation vada oltre il verbale?

Ricordiamoci che sono stati gli Stati Uniti a uscire dal trattato sulle forze nucleari a medio raggio (Inf), non la Russia. È stata Washington a piazzare i missili Aegis in Polonia e in Romania. Mosca protestava, ma nel loro delirio di onnipotenza gli Usa non hanno ascoltavano. Più dei russi, si sarebbero dovuti lamentare gli italiani e gli europei. Ora siamo tornati alla Guerra fredda, l’Europa è di nuovo un potenziale obiettivo nucleare. La stupidità dei governi americani sta portando il mondo sull’orlo dell’Armageddon. Bisogna lavorare a siglare nuovi trattati contro la proliferazione degli armamenti, non per la produzione bellica.

La Cina può essere un mediatore nel conflitto?

La Cina è la prima o la seconda economia globale, dipende da come si calcola, ed è una potenza nucleare che vuole essere riconosciuta come tale. Pechino non vuole essere circondata dalle basi militari americane (in Giappone, in Corea, in Australia o Nuova Zelanda) e vuole un mondo multipolare basato non sull’egemonia statunitense, ma sui trattati delle Nazioni Unite. È un buon compromesso: cooperare con Cina, Russia e Iran sotto l’egida della carta Onu può garantire la pace. Bisogna evitare di cadere nella trappola del manicheismo americano. Il pianeta è unico, gli effetti delle armi nucleari, le pandemie e il cambiamento climatico non hanno confini. Faremmo meglio a sederci allo stesso tavolo per discutere di queste sfide.

In Medio Oriente, Washington dice di voler evitare l’escalation del conflitto a Gaza. Ci sta riuscendo?

Gli Stati Uniti non cercano davvero la de-escalation nella regione. Continuano a fornire armi a Israele. Se smettessero, la guerra a Gaza finirebbe in un giorno. Gli Usa dicono da mesi di volere il cessate il fuoco, da 30 anni parlano di soluzione dei due Stati, ma quando Israele si rifiuta, sono sempre pronti a schierarsi dalla sua parte. È un teatrino politico. Non dimentichiamoci che il complesso militare industriale e i servizi segreti americani e israeliani sono intimamente compenetrati.

Non teme che si arrivi a un conflitto con l’Iran?

Gli Usa sono talmente vittime del loro bellicismo autolesionista che un’escalation è dietro l’angolo, ma non credo che i leader americani vogliano davvero una guerra con l’Iran. Israele può avere interesse a trascinarceli: è un calcolo suicida, perché Tel Aviv sarebbe la più grande perdente di un eventuale conflitto, ma i governi israeliani ritengono sia un modo per raggiungere i loro obiettivi estremisti. Spero che Washington mostri un po’ di senno. Le proteste dei campus hanno già dimostrato che il popolo americano non approva la politica di Joe Biden.

Come cambierà la politica estera Usa dopo le elezioni di novembre, con Donald Trump o Kamala Harris alla Casa Bianca?

La politica estera americana segue una strategia a lungo termine che è stata elaborata dall’apparato di sicurezza di Stato. Parlo dell’infrastruttura composta da Cia, Nsa, forze armate, commissioni di Difesa del Congresso e industria bellica. È un settore da 1.000 miliardi di dollari, non credo che le Presidenziali cambieranno molto su questo piano. Trump è un politico volubile e male informato, è già stato alla Casa Bianca e non ha risolto nessun conflitto: né con la Cina, né con la Corea del Nord, né con l’Iran, tanto meno la crisi ucraina. Biden ha peggiorato la situazione su tutti i fronti, ma il percorso è stato tracciato 30 anni fa dalle teorie neocon. Kamala Harris non ha alcuna esperienza in politica estera. Nessuno dei due candidati mi sembra in grado di ridisegnare la politica estera americana. Forse, a un certo punto sarà lo stesso apparato di sicurezza di Stato a rendersi conto che aver sacrificato 7 mila miliardi di dollari e milioni di persone per le guerre americane è stato un errore.

In Venezuela, dopo la riconferma di Maduro gli Stati Uniti sostengono l’opposizione che contesta l’elezione. Fanno bene?

Il Venezuela è un disastro per tanti motivi. Uno di questi è che nel 2002 gli Stati Uniti hanno provato a rovesciare il governo di Hugo Chavez. Per George W. Bush, Chavez era come Castro e bisognava trattare il Venezuela come Cuba. Ha fallito, e dopo Chavez è arrivato Maduro. Trump addirittura ha ipotizzato di invadere il Paese, salvo venire dissuaso dai leader sudamericani. Nel frattempo, Caracas è collassata sotto le sanzioni imposte dagli Usa contro la sua principale ricchezza, la produzione petrolifera. Poi, all’improvviso, Washington ha deciso che il vero presidente era Juan Guaidó e l’Europa gli è andata dietro a mani giunte. Maduro ovviamente non è caduto per questo, e ora anzi è stato riconfermato. Sì, forse il processo elettorale è stato alterato, ma il punto è che gli Stati Uniti devono smettere di provare a rovesciare i governi altrui. Non funziona. L’unico risultato sono stati i milioni di rifugiati venezuelani tra Colombia e Usa e un Paese che rimane una fonte di instabilità globale.

La schiavitù della guerra

Europa vassalla degli Usa – La speranza mai sopita è che il Vecchio continente acquisti finalmente una visione più ampia e completa della sicurezza e si affranchi dall’essere solo un campo di battaglia

 Fabio Mini  31 Luglio 2024

“Può l’Europa garantire la propria sicurezza?” è la domanda retorica che l’autorevole rivista statunitense Foreign Policy (FP) si pone e ci propone con il suo numero estivo dedicato al nostro continente.

Il titolo di copertina è volutamente drammatico: “L’Europa sola” e non è più nemmeno un interrogativo; suona come una minaccia o una promessa corroborata dal parere di ben dieci esperti di politica e sicurezza. La rivista è in vendita, ma un esempio del tono della pubblicazione è fornito gratuitamente con alcune citazioni tratte dai contributi di tre analisti. La tedesca Constanze Stelzenmüller nota che “le incombenti profonde divisioni tra nord e sud, est e ovest e centro e periferia del mondo richiederebbero idee e capacità di guida che attualmente scarseggiano”. Lo scienziato politico Ivan Krastev afferma e conferma che “gli europei sono stati anche forzati a capire che la lunga mancanza di volontà d’investire nelle loro capacità militari li ha messi in pericolo”. Da parte sua, l’ex diplomatico di Singapore, Bilahari Kausikan, è ancora più tagliente: “A dispetto di ciò che i suoi sostenitori affermano, l’Unione europea non è un attore di sicurezza: la cosiddetta politica estera e di sicurezza comune non è presa seriamente nelle capitali asiatiche”.
Sono concetti che noi europei conosciamo bene e che sono difficilmente contrastabili, tuttavia l’implicito aut aut statunitense veicolato da FP (o spendete di più e ci pagate per la sicurezza o l’Europa sarà lasciata a se stessa) è un bluff pericoloso per gli stessi interessi americani. Da un lato, i politici europei e le stesse istituzioni comunitarie hanno già colto l’avvertimento ribadito da tutte le amministrazioni americane degli ultimi trent’anni e si stanno organizzando non tanto per garantire la sicurezza da soli quanto per confermare per qualche altro secolo la dipendenza dagli americani. Dall’altro, una crescente parte dei cittadini europei non vede l’ora che l’Europa sia lasciata sola a decidere della propria sicurezza.

Il numero di FP è quindi pleonastico e sfonda una porta già spalancata, oppure ravviva la speranza mai sopita che l’Europa con la maturità politica acquisti una visione più ampia e completa della sicurezza e si affranchi dalla schiavitù di essere soltanto un campo di battaglia. La visione americana della sicurezza è infatti dettata dalla potenza militare e in particolare dalla capacità di fare la guerra. Da essa dipendono la potenza economica, industriale, finanziaria e la “potenza per la potenza”. Ed è una vera tragedia che alla civiltà europea di oggi venga imposto l’identico paradigma che essa ha applicato alle proprie colonie per cinque secoli.
I politici europei fingono di non rendersi conto che il richiamo statunitense alla sicurezza in termini esclusivamente militari è una chiamata alle armi che si basa su alcuni presupposti falsi e irrealistici: 1) che non esistano alternative alla guerra; 2) che il nostro quarto del mondo sia minacciato militarmente dai restanti tre quarti; 3) che l’aumento delle spese militari e il rafforzamento degli schieramenti bellici portino sicurezza; 4) che il mantenimento e l’ampliamento delle divisioni tra nord e sud, est e ovest, centro e periferia e l’innalzamento di altri muri militari dalla superficie terrestre allo spazio siano sufficienti a mantenere il grado di sicurezza e prosperità di cui il nostro quarto del mondo ha bisogno per progredire; 5) che sia possibile attuare le fondamentali ma costose “transizioni” in campo energetico, tecnologico e ambientale scatenando conflitti militari contro tutto il mondo o quella parte che detiene le risorse, le capacità e la volontà di realizzarle.

È vero, l’Europa non è in grado di garantire la propria sicurezza né militare né economica né sociale e non può sostenere l’isolamento. Ma è anche vero che nemmeno le armi e le guerre in Europa possono garantirla, tanto meno possono farlo il riarmo e la cieca subordinazione agli Usa che queste guerre fomentano e alimentano.
In realtà l’Europa non può affrontare alcun tipo di guerra, subordinazione e servitù senza svendersi, logorarsi, regredire e far regredire gli stessi alleati. In sostanza, senza rinunciare a essere Europa. Il mondo intero ha bisogno di spazi politici ed economici aperti e integrabili, di politiche lungimiranti che comprendano la competizione e la cooperazione piuttosto che l’aggressione, l’isolamento o la supina acquiescenza. Il progetto Nato/Ue di allargarsi con le armi alle spese della Russia e di altri Paesi è già fallito e quello di riesumare lo stallo della Guerra fredda è solo un modo per accelerare l’auto-estinzione civile prima ancora di quella politica e militare del nostro continente e non solo. Il numero di FP è in offerta speciale a un terzo del costo stabilito. La sicurezza europea anche.

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