AUTONOMIA, PRESTO LA REPUBBLICA RISCHIERÀ GROSSO da IL MANIFESTO
Autonomia, presto la Repubblica rischierà grosso
BASTA UN VOTO. Si sono levate voci autorevoli contro lo stravolgimento della Costituzione. Da Asti, Sergio Mattarella ci ricorda le parole di Giovanni Goria sulla modernità di una Costituzione che è il «nostro […]
Massimo Villone 25/05/2024
Si sono levate voci autorevoli contro lo stravolgimento della Costituzione. Da Asti, Sergio Mattarella ci ricorda le parole di Giovanni Goria sulla modernità di una Costituzione che è il «nostro passato, ma anche il nostro futuro».
Un richiamo che qualche corifeo di maggioranza ha subito stigmatizzato come ingresso dell’arbitro in partita. Ovviamente, non è così. Ma a destra piace un capo dello stato che sia supino follower del primo ministro.
E non è solo Mattarella. Il cardinale Zuppi, parlando dopo la chiusura dell’assemblea generale dei vescovi, ha chiesto sul premierato cautela e un risultato non contingente, «cioè che non sia di parte». L’esatto contrario è accaduto in senato. Il presidente La Russa con tempi contingentati ha annunciato il 18 giugno come data possibile per il voto finale dell’aula, applicando agli emendamenti il famigerato «canguro» per stroncare l’ostruzionismo delle opposizioni.
Il 22 maggio il consiglio episcopale permanente ha approvato una nota sull’autonomia differenziata in cui si segnala la preoccupazione che siano accentuati gli squilibri già esistenti «tra territori, tra aree metropolitane e interne, tra centri e periferie … il progetto di legge (Calderoli) rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica». Parole chiarissime. Ora la Chiesa dovrà far giungere il messaggio alla base, cioè nelle parrocchie, in modo da contribuire alla consapevolezza del popolo dei fedeli. Perché è di una resistenza popolare che abbiamo bisogno. È necessario scendere in campo, qui e ora. Lo impongono la tempistica decisa dalla destra e gli strumenti disponibili per opporsi.
Una maggioranza divisa su tutto – dal redditometro alle alleanze in Ue – si compatta nel mercatino delle riforme tra premierato a Meloni, autonomia differenziata alla Lega, giustizia addomesticata a Forza Italia. Dopo il voto europeo, salvo sconvolgimenti imprevedibili, la maggioranza arriverà in tempi brevi al voto finale sul Calderoli, probabilmente cercando di rimanere allineata con il voto del 18 giugno in senato.
Il punto è che subito dopo percorsi e tempi delle riforme inevitabilmente si divaricano. La via per il premierato e la giustizia – leggi costituzionali – rimane lunga, e può concludersi con un referendum confermativo. Il disegno di legge Calderoli è invece definitivamente approvato, e un referendum (abrogativo) sarebbe probabilmente inammissibile. Anche se così non fosse, probabilmente non si voterebbe prima del 2026.
Il negoziato per intese di autonomia differenziata con singole regioni può invece partire subito – come Zaia chiede, già dal «giorno dopo» l’approvazione – almeno per le materie e/o funzioni non condizionate alla previa determinazione di livelli essenziali delle prestazioni. Si tratta di circa 200 su un totale di 500 funzioni statali nelle materie in principio devolvibili. La trattativa sarà nelle mani dei presidenti di regione e di Calderoli, che ha diffidato Meloni a non usare il potere di cui dispone di porre limiti al negoziato.
Sarà questa la fase di maggiore rischio per la Repubblica una e indivisibile. Se anche solo una o due regioni riuscissero a fare breccia – ad esempio mettendo le mani sulla scuola, obiettivo molto concupito dal ceto politico regionale – per un effetto domino inevitabile altri «governatori» farebbero richieste analoghe e a quel punto non resistibili. Escluso il referendum abrogativo, l’unico strumento di contrasto immediatamente attivabile contro il disegno di legge Calderoli una volta approvato è – come ho già proposto – il ricorso in via principale di una o più regioni in Corte costituzionale.
Per questo interessa che il coordinamento nazionale della Via Maestra, a prima firma Landini, abbia scritto ai presidenti di regione sollecitando il ricorso contro la (futura) legge Calderoli. Come interessa che in una chat (È sempre 25 aprile) Bonaccini abbia detto «sono convinto che l’Emilia Romagna sarà tra le regioni a presentare quesito di legittimità alla Corte costituzionale».
Avevamo dubitato dei suoi buoni propositi, per il silenzio sulle 6mila firme che hanno chiesto con una legge di iniziativa popolare il ritiro dell’adesione ai preaccordi del 2018. Forse avevamo torto. Comunque, è utile che venerdì 24 ci sia stato davanti al consiglio regionale un sit-in, al fine appunto di sollecitare il ricorso. Aspettiamo ora Bonaccini alla prova. Che dia una mano.
Autonomia differenziata, la scomunica Cei
RIFORME. La Conferenza episcopale italiana diffonde una nota per bocciare senza appello il ddl Calderoli: «Timori soprattutto per la sanità». «Diritti civili e sociali vanno garantiti in maniera uniforme». Destre stizzite
Luca Kocci 25/05/2024
I vescovi bocciano senza appello il disegno di legge per l’autonomia differenziata: aumenta gli squilibri territoriali, distrugge la solidarietà, mette a rischio l’unità nazionale. Il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi, l’aveva anticipato giovedì al termine dell’assemblea generale della Cei, e ieri è stata diffusa la nota del Consiglio episcopale permanente con cui l’esecutivo dei vescovi afferma che questa autonomia non s’ha da fare.
«CI PREOCCUPA QUALSIASI tentativo di accentuare gli squilibri già esistenti tra territori, tra aree metropolitane e interne, tra centri e periferie. In questo senso – si legge nella nota – il progetto di legge con cui vengono precisate le condizioni per l’attivazione dell’autonomia differenziata rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni che è presidio al principio di unità della Repubblica». A farne le spese, secondo i vescovi, sarebbero le persone in difficoltà, soprattutto a causa dell’ulteriore indebolimento del Sistema sanitario nazionale. Un rischio che «non può essere sottovalutato, in particolare alla luce delle disuguaglianze già esistenti, specialmente nel campo della tutela della salute, cui è dedicata larga parte delle risorse spettanti alle Regioni e che suscita apprensione in quanto inadeguata alle attese dei cittadini sia per i tempi sia per le modalità di erogazione dei servizi».
Il sistema delle autonomie e il principio di sussidiarietà – capisaldi della dottrina sociale della Chiesa – devono tener conto «dell’effettiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali» che vanno «garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale». Aspetti che invece l’autonomia differenziata mette a rischio. Per questo i vescovi rivolgono un appello alla politica affinché «si incrementino meccanismi di sviluppo, controllo e giustizia sociale per tutti e per ciascuno», poiché «non c’è sviluppo senza solidarietà, attenzione agli ultimi, valorizzazione delle differenze e corresponsabilità nella promozione del bene comune».
STIZZITE LE REAZIONI della destra di governo, che fatica a trovare una sintonia con la Cei di Zuppi. «Da tutti ci si poteva aspettare un pregiudizio politico e spiace che l’abbia assunto la Cei, peraltro a pochi giorni dal voto», commenta il “padre” dell’autonomia differenziata, Roberto Calderoli, ministro leghista per gli Affari regionali, che rimprovera ai vescovi di aver rifiutato qualsiasi confronto con l’esecutivo. Quella della Cei è una valutazione «politicamente sbagliata», aggiunge il capogruppo dei senatori di Fdi Lucio Malan. «Non penso che l’autonomia differenziata metta in discussione il principio di solidarietà né metta in difficoltà le Regioni con un’economia meno fiorente», «abbiamo approvato diversi emendamenti che lo impediscono». Dopodiché, concede Malan, «ciascuno fa le valutazioni che ritiene».
PER MAURIZIO GASPARRI si tratta di una nota a orologeria, alla vigilia delle elezioni. «Rispettiamo tutto, anche se la tempistica mi pare strana, ma ne parlerò direttamente con gli esponenti della Cei, con i quali abbiamo una felice interlocuzione, io sono anche cattolico praticante», afferma il capogruppo di Forza Italia al Senato. Che poi cambia bersaglio: i vescovi «hanno fatto un comunicato contro il prete che ha definito criminale Piantedosi?». Gasparri ce l’ha con don Angelo Cassano, prete di frontiera e referente di Libera in Puglia che in una manifestazione a Bari ha attaccato il ministro dell’Interno per le politiche contro i migranti e i morti nel Mediterraneo. «Ho chiesto a Zuppi una presa di posizione pubblica nei confronti di don Cassano, mi dispiace che non l’abbia fatto». Evidentemente quando si è a corto di argomenti l’unica possibilità è quella di “buttarla in caciara”.
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