ASSANGE È LIBERO, MA DEVE ARCHIVIARE IL SUO WIKILEAKS da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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ASSANGE È LIBERO, MA DEVE ARCHIVIARE IL SUO WIKILEAKS da IL FATTO

Assange è libero, ma deve archiviare il suo Wikileaks

L’ACCORDO CHE LO SCAGIONA – Non deve risarcire nessuno. Dovrà distruggere cablo inediti. E non può tornare negli States

 STEFANIA MAURIZI  27 GIUGNO 2024

Un bacio da film alla moglie Stella e il pugno alzato, appena sceso dall’aereo a Canberra, hanno chiuso i quattordici anni della persecuzione di Julian Assange e WikiLeaks. La saga è iniziata nel 2010, con la pubblicazione dei documenti segreti del governo americano. Il fondatore di WikiLeaks aveva 39 anni, la prossima settimana ne compirà 53: gli Stati Uniti e il Regno Unito gli hanno preso i migliori anni della sua vita. E nessuno glieli restituirà. Ma perlomeno non gli hanno preso l’intera vita. Un patteggiamento negoziato con l’amministrazione Biden, ad appena cinque mesi dalle elezioni presidenziali americane, gli ha restituito la libertà, anche grazie alle pazienti trattative diplomatiche dell’Australia di Anthony Albanese, il primo ministro di origini italiane, che, al contrario di tutti gli altri governi di Canberra, non ha abbandonato Assange.

Arrivato nel suo paese, l’Australia, Julian Assange vuole stare per il momento in campagna, in the bush, in mezzo a quella natura che non conosce da quattordici anni e che ama. La moglie Stella, che ha tenuto una conferenza stampa all’arrivo, visibilmente commossa, ha sottolineato con tutta l’enfasi possibile che “Julian ha bisogno di recuperare: è questa la priorità” e nell’esprimere la gratitudine del marito a tutti quelli che si sono battuti per la sua libertà, ha detto: “Vi chiedo di darci lo spazio e la privacy per farlo”.

Su quello che farà una volta che si sarà rimesso, è buio pesto. WikiLeaks andrà avanti? L’avvocato americano Barry Pollack, che è parte del team legale di Julian Assange, ha dichiarato che non ci sono limitazioni su quello che il suo cliente potrà fare. Il testo del patteggiamento non le impone, né contiene il divieto di parlare con la stampa o viaggiare in giro per il mondo, a eccezione degli Stati Uniti, in cui Assange non può tornare “senza autorizzazione”. E gli Stati Uniti si sono impegnati “a non incriminarlo per nessuna accusa aggiuntiva [oltre a quella patteggiata] e che sia basata sui comportamenti precedenti a questo accordo, a meno che l’imputato non lo violi”.

Tante volte WikiLeaks è stata data per finita, morta. Tante volte i vaticini funebri sono stati smentiti. Sarà così anche stavolta, o il patteggiamento di Julian Assange segna la fine della sua prigionia, ma anche della sua creatura? L’accordo rivela che le autorità americane gli hanno imposto di restituire o distruggere tutti i documenti che, a oggi, WikiLeaks non ha pubblicato, e Assange si impegna a non cercare informazioni sul suo caso giudiziario con il Freedom of Information Act (Foia) e a non promuovere azioni legali o richieste di risarcimento.

Il testo del patteggiamento rivela anche un’altra informazione cruciale: “Alla data di questo accordo, gli Stati Uniti non hanno identificato alcuna vittima che si possa qualificare [come avente diritto] a un risarcimento individuale” per la rivelazione dei documenti segreti. Dunque nessuna vittima da risarcire. E allora come mai le autorità americane hanno sempre insistito sul fatto che Julian Assange e WikiLeaks avessero messo a rischio centinaia di vite?

Il patteggiamento ha salvato Assange, ma non il giornalismo. L’interazione tra la fonte Chelsea Manning, che passò i 700mila documenti segreti del governo americano, e WikiLeaks è stata criminalizzata come un’associazione a delinquere sulla base di una legge americana del 1917: l’Espionage Act, che non fa alcuna distinzione tra i traditori, che passano informazioni segrete al nemico, e i giornalisti che li pubblicano per rivelare atrocità all’opinione pubblica. Rebecca Vincent, che guida le campagne di Reporters Sans Frontières e che ha seguito sistematicamente il processo di estradizione di Assange, dichiara al Fatto Quotidiano: “Siamo enormemente sollevati che Julian Assange sia finalmente libero: è una vittoria, attesa a lungo, per il giornalismo e per la libertà di stampa, che dimostra che la mobilitazione pubblica funziona! Nessuno deve essere più perseguito per aver rivelato informazioni nel pubblico interesse e l’Espionage Act deve essere urgentemente riformato in modo che non sia mai più usato in questo modo”.

“È un ‘pizzino’ a tutti noi: chiunque ci può arrestare”

ANDREW FISHMAN – “Lavoro in Brasile e sto scrivendo un’inchiesta su Israele e Gaza: Netanyahu ora può silenziarmi”

SABRINA PROVENZANI  27 GIUGNO 2024

“Gli Stati Uniti continuano a presentarsi come i difensori della democrazia. Ma se intimidiscono o silenziano i giornalisti con metodi da boss, perché un dittatore dovrebbe comportarsi diversamente?”

Andrew Fishman è il cofondatore e presidente del sito di giornalismo investigativo The Intercept. “Ho festeggiato la liberazione di Assange e avrei fatto esattamente quello che ha fatto lui, perché la sua detenzione non poteva continuare e lui meritava la libertà, e le buone notizie nel nostro settore sono rarissime. Ma questa sentenza, anche se non è un precedente legalmente vincolante nel sistema legale statunitense, manda un messaggio chiaro: significa che fare giornalismo, come tanti colleghi fanno ogni giorno, da ora è un’attività criminale. Che ricevere informazioni segrete e poi pubblicarle è reato, se il governo degli Stati Uniti non vuole che quelle informazioni vengano pubblicate. E crea un precedente morale o teorico che, magari, il prossimo procuratore vedrà come una possibilità.

Si sta realizzando l’intimidazione preventiva per la libertà di stampa di tutto il mondo, il ‘pizzino’ che tanti giornalisti temevano?

Sì, e, ancora peggio, perché c’è anche il tema della extraterritorialità. Se gli Stati Uniti, con la loro influenza globale, hanno ottenuto di tenere recluso per 14 anni un cittadino non americano, cosa impedisce ad altri paesi di fare lo stesso? Io vivo in Brasile, sono un cittadino statunitense, e sto scrivendo dei crimini israeliani a Gaza. Da oggi Israele può accusarmi di un crimine e farmi arrestare o detenere in Cile o in Nicaragua o in Brasile perché non gli piacevano le informazioni che ho pubblicato?

Questo apre la strada a una strumentalizzazione?

Certo, perché svuota di senso il diritto internazionale. Perché un dittatore non può fare lo stesso? Perché non può dire: chi sono loro per giudicarmi? Perché Israele dovrebbe osservare il diritto internazionale quando quelli che dovrebbero esserne i principali sostenitori non lo fanno?

Ma questo è un punto centrale: i giornalisti sono sempre stati minacciati dai dittatori, o dai cartelli della droga. È vero che altrove i reporter muoiono, ma qui la minaccia al giornalismo arriva dai difensori della democrazia occidentale…

Sono cresciuto negli Stati Uniti. Per chi segue le notizie mainstream non c’è alcun modo di comprendere quello che proprio Assange ha rivelato al mondo: che gli Usa non sono i buoni. Le sue rivelazioni sui crimini militari in Iraq e Afghanistan e poi il Cablegate devono essere state terrificanti per il governo e per l’establishment Usa per tre ragioni: la prima è che, per la prima volta, con la collaborazione di tante testate internazionali, hanno avuto copertura globale. La seconda è che Assange non è americano, e non appartiene all’amministrazione Usa come whistlebowler precedenti. La terza è che non viene dal giornalismo tradizionale. È un tecnologo crypto-punk che ha ideali di un mondo libero e indipendente in cui l’informazione è libera. Che è molto diverso dall’ideologia dei giornalisti che fanno gli stenografi per la più grande potenza imperiale del mondo. Quindi la sua visione del mondo e le sue convinzioni, che credo siano più umaniste rispetto al discorso mediatico standard degli Usa, rappresentano una minaccia per il giornalismo necessario a costruire consenso mainstream. Anche negli Usa sta aumentano la consapevolezza, ben diffusa altrove da tempo per tutti coloro che ne sono stati vittime, che gli Usa non sono i “buoni”. E la tecnologia, il nuovo uso della tecnologia, di cui WikiLeaks è precursore, sta accelerando questo processo di consapevolezza.

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