ABOLIRE L’ABUSO D’UFFICIO VÌOLA I PATTI CON ONU E UE da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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ABOLIRE L’ABUSO D’UFFICIO VÌOLA I PATTI CON ONU E UE da IL FATTO

Abolire l’abuso d’ufficio vìola i patti con Onu e Ue

 

 ANTONIO ESPOSITO  25 GIUGNO 2023

L’ex procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, assurto al prestigioso incarico di Guardasigilli, ha tuonato: “Il magistrato non può criticare le leggi, come il politico non può criticare le sentenze”.

Ci si domanda: come è possibile che un ministro di Giustizia, ex magistrato, non sappia (o faccia finta di non sapere) che la critica non è altro che l’esercizio del diritto fondamentale, costituzionalmente tutelato dall’articolo 21 della Carta, di poter liberamente manifestare il proprio pensiero e le proprie idee con il solo limite di non ledere la dignità, l’onore e la reputazione altrui? Diritto, oltretutto, spettante a ciascun cittadino, ivi compresi i magistrati, che ben possono criticare le leggi, soprattutto se in itinere, anche al fine di segnalarne le criticità e le anomalie onde migliorarne la loro formulazione.

Ma dove mai il ministro Nordio ha letto che le sentenze non possono essere criticate? I provvedimenti giurisdizionali, in un sistema democratico, ben possono essere oggetto di critiche, anche aspre e graffianti, da parte di tutti i cittadini (ivi compresi i politici), ma sempre nei limiti della continenza formale e sostanziale (limite che spesso viene superato da diffamatori di professione).

Ma non basta. Il ministro ha proposto – e la proposta è stata approvata dal Cdm – l’abrogazione del reato di abuso di atti di ufficio. Ora – poiché tale delitto, con la riforma del 2020, è stato circoscritto alle sole ipotesi in cui la condotta del pubblico ufficiale sia posta in essere in violazione di legge (che impone di tenere o non tenere un determinato comportamento) – ciò significa che, con l’abrogazione di tale reato, viene rilasciata al pubblico ufficiale una indiscriminata licenza di commettere impunemente abusi e arbitri al fine di avvantaggiare se stesso o parenti e amici, ovvero di danneggiare i nemici, determinando, quindi, un fenomeno di illegalità diffusa nell’ambito della pubblica amministrazione e degli enti locali, ove maggiore è il compromesso politico-elettorale, e ciò, soprattutto, nel momento in cui stanno arrivando i miliardi del Pnrr e ancor più stringente dovrebbe essere il controllo di legalità sull’operato dei pubblici funzionari (in particolare, in ordine ad appalti, concorsi, concessioni). In sostanza, viene eliminato qualsiasi presidio penale circa il rispetto dei fondamentali principi costituzionali di buona e imparziale amministrazione. E può ben affermarsi che, con l’abrogazione di tale delitto, viene meno la paura degli amministratori di firmare provvedimenti illegittimi (perché per quelli legittimi non c’è da aver paura).

Peraltro, questo ministro non ha tenuto in alcuna considerazione gli autorevoli pareri del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione e del Procuratore nazionale antimafia che segnalavano le gravi conseguenze di tale abrogazione. Si è ancora dimenticato il ministro di tener presente che le condotte riconducibili al reato in questione sono, sia pure con diverse sfumature, sanzionate in tutti e ventidue degli Stati membri dell’Unione europea che fanno parte di Eppo (European Public Prosecutor’s Office). Nella sua attuale formulazione, tale reato non solo è imposto dalla Convenzione Onu sull’azione di contrasto alla corruzione, e dalla direttiva Pif (Protezione Interessi Finanziari) ma anche dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla corruzione del 1999. Conseguentemente, è di tutta evidenza che l’abuso di ufficio è strettamente collegato a ipotesi di corruzione e che l’abrogazione di tale reato – (anche l’Ue nei giorni scorsi ha chiesto di non abolirlo) – viola gli accordi che l’Italia ha assunto con l’Onu e con l’Europa e rappresenta un’anomalia rispetto agli altri Stati.

Orbene, a fronte di tali puntuali e pertinenti critiche le quali denunziano che, con l’abrogazione del delitto in questione, si rimane senza tutela a fronte degli abusi di potere della PA, ecco l’incredibile risposta dell’ex procuratore aggiunto: “Nessun vuoto di tutela perché il nostro arsenale è il più agguerrito d’Europa”. Ogni commento è superfluo.

“Lo stop all’abuso d’ufficio toglie tutele ai cittadini e crea impunità”

EX PM E PD – “Le ‘interferenze’ sono nella natura della democrazia: al Guardasigilli va data una copia della Costituzione”

 ANTONELLA MASCALI  21 GIUGNO 2023

Gianrico Carofiglio, della riforma appena approvata dal governo Meloni c’è un punto che la preoccupa in particolare?

In generale, più che una riforma è un manifesto ideologico piuttosto mediocre. Ciò detto, se alcune disposizioni sono gravemente sbagliate, su altre si può discutere. Faccio un esempio: l’idea che per certe tipologie di reati l’indagato debba essere interrogato prima dell’applicazione di una misura cautelare ha senso. Ma il fatto che la decisione debba essere adottata da un collegio di 3 giudici, rischia di produrre una paralisi degli uffici giudiziari e quindi paradossalmente la riduzione delle garanzie. Non a caso la norma entrerà in vigore fra due anni con la previsione di un risibile aumento di organico della magistratura.

La cancellazione dell’abuso d’ufficio è stata giustificata sciorinando numeri bassi di condanne. È ragionevole?

Bisogna riconoscere che, per come è concepita, la norma apre la strada a un numero enorme di denunce contro pubblici ufficiali, che perlopiù vengono archiviate su richiesta delle stesse procure.

Ma nel 2020 il reato è stato circoscritto…

Non c’è dubbio. Ma io voglio concedere che, anche così come è stata riformata, la norma lascia spazio all’apertura di tanti procedimenti infondati, la cui pendenza complica il lavoro delle Pubbliche amministrazioni. Detto questo, la soluzione non è cancellare la tutela dei cittadini rispetto agli abusi dei pubblici ufficiali, quanto piuttosto costruire fattispecie più tipizzate. Faccio qualche esempio: immagini di avere un processo civile davanti a un tribunale e che il giudice è uno con il quale lei ha una grave inimicizia. Oggi, con la norma vigente, se il giudice non si astiene e poi le dà torto commette il reato di abuso d’ufficio. Con l’abolizione della norma questo giudice non commetterà nessun reato. Altro esempio: immagini di dover chiedere una concessione edilizia cui lei ha diritto. Il funzionario che dovrebbe rilasciarla magari è il suo ex marito con il quale è in corso una separazione conflittuale. Il funzionario dovrebbe astenersi. Se oggi non lo fa e poi le nega la concessione cui lei aveva diritto, risponde, appunto, di abuso d’ufficio per aver piegato la sua funzione a una ostilità personale. Dopo la riforma il suddetto funzionario potrà fare tutte le sue piccole o grandi vendette private senza che nessuno possa fargli nulla. Non parliamo poi delle ipotesi di abusi per manipolare un concorso pubblico. Proprio di recente sono stati scoperti, inquisiti e condannati (come vede le condanne ci sono) un componente della commissione del concorso in magistratura e un candidato che aveva tentato di avvantaggiare. Senza la norma sull’abuso d’ufficio costoro avrebbero fatto ‘marameo’ alla giustizia e ai candidati onesti.

Quindi è un colpo di spugna?

Non ho mai amato questa espressione. È una riforma sbagliata e fondamentalmente antidemocratica nello spirito e nel contenuto perché si privano i cittadini come individui e come collettività di uno strumento importante di difesa dagli abusi dei pubblici ufficiali. Badi bene, anche dei magistrati. La mia idea sarebbe di trasformare la norma generica vigente in un piccolo catalogo di comportamenti delittuosi che non si possono lasciare impuniti. Truccare un concorso o usare la propria qualità di pubblici ufficiali per vendette private. Ciò consentirebbe di tranquillizzare i tanti amministratori onesti che oggi, con qualche ingenuità, festeggiano l’abolizione sic et simpliciter della norma (ogni riferimento ai sindaci del Pd non è puramente casuale, ndr) senza lasciare sprovvisti di tutela penale i cittadini colpiti da abusi intollerabili.

Nel ddl torna per i pm il divieto di impugnare le sentenze di assoluzione. Che ne pensa?

In astratto, nel quadro di un ripensamento complessivo del sistema, l’abolizione dell’Appello contro le sentenze di assoluzione non è un’idea scandalosa. Esiste in tanti sistemi, ma di regola si accompagna all’esecutività della sentenza di primo grado. Così come concepita in questo disegno di legge la norma ha diversi profili di illegittimità costituzionale. Peraltro la Consulta si è occupata già nel 2006 di analoga riforma cancellandola.

Il ministro ha accusato l’Anm di “interferire” perché ha criticato la riforma. Ha detto che il suo interlocutore istituzionale è il Csm. Ha ragione?

È un’idea della democrazia piuttosto bizzarra quella che viene fuori da queste affermazioni. La natura della democrazia è nelle interferenze, che significa confronto di opinioni diverse su questioni che riguardano la vita collettiva. Poi ovviamente decide chi è il titolare del relativo potere. Mi verrebbe da sorridere se la cosa non fosse molto grave. Qualcuno forse potrebbe fare a Nordio il dono di una copia della Costituzione. Voglio essere pedante, in particolare l’articolo 21.

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