10 ANNI FA: IL RITORNO DELLA GUERRA FREDDA. COMPLICITÀ ED IMPOTENZA DELLA UE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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10 ANNI FA: IL RITORNO DELLA GUERRA FREDDA. COMPLICITÀ ED IMPOTENZA DELLA UE da IL MANIFESTO

 Il ritorno della guerra fredda:   complicità ed impotenza della Ue.

    Tonino Perna   26/04/ 2014

   Siamo entrati in una nuova fase di turbolenza geopolitica a livello internazionale.  La globalizzazione economica e finanziaria ha prodotto un indebolimento degli Stati e fatto esplodere le contraddizioni interne, facendo emergere spinte nazionalistiche su base etnica.  Allo stesso tempo la globalizzazione capitalistica, con la relativa istituzione di un unico mercato mondiale, avrebbe dovuto porre fine alla “guerra fredda” – scontro tra Nato ed Urss- e portare ad un progressivo disarmo delle grandi potenze.   Dopo l’89 molti si sono chiesti: a che serve la Nato se non c’è più il pericolo dell’Urss comunista?  Ed invece, dopo un periodo di tregua, è ripresa la corsa agli armamenti perché negli Usa, come sostenevano due grandi economisti del secolo scorso- John K. Galbraith e James O’Connor- il sistema militare-industriale è il pilastro della loro economia.  Ci piaccia o no, dopo la seconda guerra mondiale gli Usa sono stati continuamente impegnati in conflitti bellici, con brevi intervalli di non intervento armato: guerra di Corea, Vietnam, Panama, Iraq 1 e 2, Afganistan ancora oggi.  Non solo, la Nato, che non aveva più senso, ha accresciuto il suo spazio ed i paesi associati soprattutto nella direzione che porta ai confini con la Russia.  Questo processo di allargamento della Nato ha avuto fasi alterne, ma è comunque avanzato lentamente negli ultimi vent’anni fino all’attuale crisi della Ucraina.   Perché gli Usa hanno voluto dare un’accelerazione alla morsa che stringe militarmente la Russia, che è stata accolta nel G8 e che è un paese capitalistico come gli altri?   Perché non c’è la stessa pressione nei confronti della Cina retta dal più grande partito comunista del mondo?

Non c’è ovviamente una sola risposta, ma sicuramente possiamo individuare la causa scatenante: il gas. Tutto nasce dall’avvio negli Usa, da circa cinque anni, di una campagna di investimenti massicci nella tecnologia dello shale gas, il metano che si ricava dalle rocce bituminose attraverso la frantumazione delle rocce con l’uso di grandi quantità d’acqua e di sostanze chimiche.  Una tecnologia devastante per l’ambiente, ma che trattandosi di zone scarsamente o per nulla popolate non genera grandi opposizioni e lotte popolari.  Quello che bisogna sapere è che gli Usa diventeranno già dal prossimo 2016 esportatori netti di gas.  Ma a chi lo possono vendere se non alla Ue che è gas-dipendente.   Dato che attualmente l’Europa dipende energeticamente dalla Russia l’unica strada è quella di sostituirsi al fornitore dell’est.   Questo è, a mio modesto avviso, lo scopo delle sanzioni presenti- e soprattutto future- che costringeranno i paesi europei a costruire grandi rigassificatori che le navi a stelle e strisce riempiranno di gas metano. 

Allo stesso tempo aver ritrovato il nemico perduto consente all’apparato militare-industriale nordamericano di avanzare richieste di aumento delle spese militari al governo Obama che potrà giustificarle proprio grazie alla costruzione del nuovo-vecchio nemico che minaccia l’Occidente.  Finito lo spauracchio del terrorismo islamico, l’apparato militare Usa rischiava di essere smantellato o di non ricevere più nuove commesse, ma ecco che ritorna il nemico che legittima la spesa folle militare, per esempio per gli F35, e imporrà alla Ue di armarsi, come d’altra parte ha fatto lo stesso Obama quando è venuto in Italia e ci ha rimproverato di voler tagliare le spese militari. 

Di fronte a questa gravissima situazione, cosa fa l’Ue?   Niente.  La mancanza di una politica estera dell’Unione è una questione fondamentale che viene oscurata dal dibattito sulla crisi economica e finanziaria.  Ed invece l’Unione Europea non avrà un futuro se non conquisterà la sua autonomia e indipendenza, se non giocherà un ruolo diplomatico importante per spegnere lo scontro Usa- Russia.  Non si illuda l’Europa che potrà sopportare a lungo il ritorno alla guerra fredda.  Essa sottovaluta il ruolo positivo giocato più volte dalla Russia nel Mediterraneo, bilanciando lo strapotere degli Usa che hanno portato la guerra in Libia, ed hanno provato a fare lo stesso in Siria.

L’Unione Europea non potrà sopravvivere contemporaneamente allo scontro ovest-est ed a un Mediterraneo in fiamme.   L’Ue ha bisogno di una vasta area di pace e cooperazione ai suoi confini per creare quella meso-regione Euro-Mediterranea, con la relativa creazione di una liberazione circolazione di merci e persone, che è la sola risposta possibile per costruire un mercato comunitario di un miliardo di abitanti, capace di reggere la competizione con le grandi potenze mondiali.  

Crisi ucraina, le democrazie che non vogliono la pace

Ucraina. Mentre le scene di guerra aumentano, il nano politico – con tutto il rispetto dei nani – dell’Unione europea si nasconde, quello dell’Italia è un vuoto assoluto che compra e assembla aerei da guerra e concede basi militari a danno del territorio

Tommaso Di Francesco 26/04/2014

Le scene ormai sono quelle di una guerra. Una nuova guerra. Dire che il mondo guarda attonito e spaventato vorrebbe dire raccontare l’ennesima bugia. Perché l’Europa che politicamente non esiste e tantomeno ha una sua politica estera, partecipa volente o nolente alla strategia di allargamento della Nato a est. Che, a quanto pare, comincia a dare i suoi frutti. Avvelenati. Ma andiamo per ordine. Mercoledì e giovedì è scattata l’offensiva delle forze militari di Kiev contro le regioni orientali russofone insorte.

Dopo le prime dieci vittime, sembrava che il buon senso consigliasse alle truppe speciali ucraine di fermarsi. È forte il rischio che si ripeta la «Georgia 2008», quando dopo l’attacco dei militari georgiani su indicazione dell’ex premier filo-occidentale Shahakashvili contro l’insorta e filorussa Abbazia – un attacco anche allora istigato dalla Nato – intervenne in forze l’esercito russo. Fu una sconfitta militare per Shakashvili che, abbandonato alla fine dall’Alleanza atlantica, fu defenestrato poi a furor di popolo.

Ieri invece la controffensiva di Kiev – chissà che consigli sta dando il capo della Cia John Brennan che Obama ha annunciato come operativo nella capitale ucraina – è ripartita contro altre città dell’est, gli insorti stavolta hanno reagito facendo esplodere un elicottero a terra, perché l’attacco può arrivare anche dall’aria. Come finirà?
La Casa bianca ammonisce la Russia a «ritirare le truppe», che finora stanno ancora in Russia. Dovrebbe ritirarle dalla Russia? E John Kerry accusa: «Mosca destabilizza l’Ucraina» e difende il governo in carica ricordando, a suo dire, che «l’esecutivo legittimo vuole colpire i terroristi», mentre in un sussulto i portavoce di Kiev e di Washington ripetono all’unisono «basta proteste con i volti mascherati e persone armate, basta terrorismo».

Ma di quale legittimità parla? Giacché il governo di Kiev è stato approvato da piazza Majdan in rivolta, con protagonisti in tenuta paramilitare, anche armati e a migliaia con il volto mascherato.

Per quattro mesi gli allegri inviati dei giornaloni occidentali si sono appassionati ad indicarci gli «eroi» che vagavono in piazza, hanno esaltato l’odore di cavolo delle cucine da campo, hanno bevuto il tè offerto dai rivoltosi «belli». Per una rivolta, è bene ricordarlo, il cui contenuto remoto era la corruzione di un regime (comunque democraticamente eletto), ma sostanzialmente dai connotati esclusivamente nazionalisti ucraini, fortemente antirussa – la prova furono i primi provvedimenti contro la legalizzazione della lingua russa -, con una forte presenza organizzata dei miliziani della destra estrema fascista di Svoboda e ancor più di Pravj Sektor.

Questo clima, che meglio sarebbe definire pericoloso guazzabuglio, ruppe con la forza gli argini di un accordo internazionale definito tra Kerry e Lavrov a Monaco il 20 febbraio (con Yanukovich e lo stesso attuale «premier» Yatseniuk) e alla fine approvò – appena liberata l’«eroina Tymoshenko» in realtà oligarca e in galera per avere favorito la Russia nella trattativa sul gas – e instaurò la «legittimità» del nuovo governo e della nuova presidenza Turchynov, uno dei leader della rivolta «mascherata» di Euromajdan. Con oligarchi che passavano da una parte all’altra tranquillamente. E tutto il sostegno attivo degli Stati uniti e dell’Alleanza atlantica

Com’era possibile non immaginare che, a fronte di una «legittimità» che rappresenta nemmeno la metà dell’Ucraina spaccata a quel punto inesorabilmente almeno in due parti, le popolazioni russofile, russofone e russe a tutti gli effetti non facessero la loro di «rivolta di Majdan»? O esistono rivolte di piazze di serie A e quelle di serie B?

La Crimea, russa a tutti gli effetti, è andata per le spicce e si è autoproclamata indipendente chiedendo, subito bene accetta da Mosca, l’adesione alla Russia. La Crimea e tutta l’Ucraina sono la linea di difesa estrema e di sicurezza della Russia. Circondata da Occidente da tutti gli ex paesi del Patto di Varsavia inglobati ormai dentro l’Alleanza atlantica, con tanto di basi, sistemi di guerra, scudi spaziali. Mentre su piazza Majdan non solo il capo della Cia, ma repubblicani, Joe Biden e Kerry sono ormai di casa. Che ci stanno a fare a decine di migliaia di chilometri dagli Stati uniti? Chi destabilizza davvero gli interessi degli ucraini? Che dovrebbero essere democratici e finalmente federali, per una rappresentanza vera del secondo più grande Paese d’Europa, ma anche al di fuori di ogni alleanza militare precostruita.

E contro i vecchi e nuovi oligarchi e i diktat del Fondo monetario internazionale che ora torna in forze ma che durano da anni contro le classi subalterne ucraine. Mentre le scene di guerra aumentano, il nano politico – con tutto il rispetto dei nani – dell’Unione europea si nasconde, quello dell’Italia è un vuoto assoluto che compra e assembla aerei da guerra e concede basi militari a danno del territorio. Vive l’Europa la vergogna, dopo tante esperienze nefaste e di guerre «umanitarie» nei Balcani, di essere diventata soltanto una moneta che riduce in miseria i suoi popoli costituenti, e soltanto un’alleanza militare, la Nato a guida esclusiva degli Stati uniti. La chiamano democrazia occidentale. E odia la pace.

Nuova offensiva di Kiev i filorussi: «Resistiamo»

Ucraina. Obama, Renzi, Hollande, Merkel e Cameron a favore di nuove sanzioni contro Mosca

Simone Pieranni  26/04/2014

Dopo la pausa decisa dal governo di Majdan nel tardo pomeriggio di giovedì, a seguito delle esercitazioni russe al confine ucraino, si è tornati a combattere. Nel mentre si è alzato anche il livello della tensione diplomatica, come era ovvio attendersi, benché non si veda all’orizzonte uno spiraglio di via di uscita comune. Il premier di Kiev Yatseniuk, l’uomo caro al Fondo monetario e agli Usa ha accusato Putin di volere una «terza guerra mondiale», perché avrebbe ammassato le sue truppe a un solo chilometro dal confine ucraino, mentre Stati uniti e Unione europea, al termine di un giro di telefonate intercorse tra i leader (tra Obama, Hollande, Merkel e Cameron, cui ha partecipato anche il premier italiano Matteo Renzi), avrebbero nuovamente convenuto di passare a sanzioni più forti nei confronti della Russia. Mosca ha reagito, chiedendo a Kiev di terminare i combattimenti, per ottenere «una de-escalation del confronto».

Dopo la pausa, dunque, Kiev ha ordinato la seconda fase dell’operazione «antiterrorismo» a est, contro le regioni separatiste. I centri nevralgici degli scontri sono diventati principalmente due: Kramatorsk e Sloviansk. Nella prima città, nella mattinata di ieri un cecchino ha fatto esplodere un elicottero dell’esercito ucraino a terra, confermando un doppio dato: l’intenzione dei filorussi di resistere e le capacità militari di cui dispongono.

E mentre a Kramatorsk venivano segnalati attacchi alle barricate dei separatisti, la posta in palio più alta sembra essersi giocata a Sloviansk. Kiev ha ordinato la presa della città, sapendo di poter cogliere un successo importante perché la cittadina è considerata un vero e proprio punto nevralgico delle capacità belliche dei filorussi. In mattinata è arrivato l’ordine di Serghiei Pashinski,vice capo dell’amministrazione presidenziale ucraina, che ha annunciato che le truppe speciali di Kiev hanno iniziato a «bloccare completamente» la città «per impedire l’arrivo di rinforzi» ai pro-Mosca. Si tratta, secondo Pashinski, della seconda tappa dell’operazione lanciata ieri a Sloviansk dai militari ucraini. Vasil Krutov, numero due dei servizi di sicurezza di Kiev ha assicurato che non ci sarà blitz in città per evitare vittime.

Ma non tutto pare essere andato come nelle previsioni di Kiev, dato che i filorussi hanno resistito agli attacchi. Il leader dei filorussi Ponomariov, intervistato dalla tv Rossiya 24, ha dichiarato di non aver alcuna intenzione di arrendersi, sostenendo inoltre che militanti del gruppo paramilitare neonazista di Pravi Sektor «occupano posizioni attorno alla città di Sloviansk e sono armati di fucili da cecchino», mentre «le forze ucraine stanno accerchiando completamente la città» e ci sono «tentativi di diversi gruppi di sabotatori» di «attaccare alle spalle le postazioni» degli insorti.

Ancora guerra dunque, mentre Ue e Stati uniti si muovono cercando una sintonia. Obama e i leader europei – ha spiegato un comunicato diffuso ieri dalla Casa Bianca – hanno definito «allarmante» la situazione nell’est dell’Ucraina, sottolineando «i positivi passi» compiuti da Kiev per tener fede agli impegni presi il 17 aprile scorso con Russia, Ue e Stati uniti, comprese la proposta di un’amnistia per coloro che lasceranno pacificamente gli edifici pubblici occupati e quella di riformare la costituzione. I leader hanno quindi dato un giudizio comune sul fatto che la Russia non si sia invece comportata di conseguenza, né sostenendo gli accordi di Ginevra, né richiamando i gruppi armati a deporre le armi e ad abbandonare gli edifici occupati.

L’accusa a Mosca è quindi quella di aver proseguito a fomentare «un’escalation della situazione attraverso una retorica preoccupante ed esercitazioni militari che minacciano i confini dell’Ucraina». I leader – conclude lo statement – «lavoreranno insieme e, attraverso il G7 e l’Unione europea, coordineranno passi aggiuntivi per imporre costi alla Russia». Obama, Renzi, Hollande, Merkel e Cameron hanno infine sottolineato che Mosca «ha ancora la possibilità di optare per una risoluzione pacifica alla crisi, inclusa l’implementazione degli accordi di Ginevra». Nella serata di ieri, infine, è arrivata la notizia, dal ministero dell’interno di Kiev, secondo il quale sette osservatori Osce sarebbero stati rapiti dai filorussi a Sloviansk. Le persone catturate si troverebbero in una sede locale dei servizi di sicurezza

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