10, 100, 1000 MISSIONI DI PACE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Dieci, cento, mille missioni di pace
CRISI UCRAÌNA. Ogni tentativo in cui si accende la speranza di trovare la pace assume già un grande valore, pur se il cammino è più difficile da pensare e realizzare, perché presuppone assunzione di responsabilità e disponibilità a cedere potere e vantaggi
Francesco Vignarca* 30/06/2023
La grande filosofa politica Hannah Arendt sottolineava come la violenza sia «per natura strumentale come tutti i mezzi, ha sempre bisogno di una guida e di una giustificazione per giungere al fine che persegue».
Ciò è ancora più evidente per la guerra, che è una forma strutturale di violenza e viene utilizzata come strumento per definire equilibri politici ed economici. Chi si avvantaggia dalla guerra (o anche chi non ha pensiero e coraggio per altre strade) deve dunque in qualche modo giustificarla.
Storicamente e culturalmente la strada è stata quella di renderla ineludibile, cancellando dal quadro delle possibilità (anche più flebili) qualsiasi cammino di costruzione di pace «positiva» (cioè definita come presenza articolata di diritti) realizzata con mezzi pacifici. Da qui la centralità della «vittoria» come raggiungimento di una pace «negativa» (mera assenza di guerra). Distogliendo lo sguardo dal prezzo di sangue e i traumi lasciati in eredità per raggiungerla. D’altronde sempre la Arendt scrivere: «La guerra non restaura diritti, ma ridefinisce poteri».
Sono proprio i rappresentanti di questi poteri che, in tale quadro, continuano ad attaccare strumentalmente qualsiasi pensiero di pace o di nonviolenza. L’ultimo esempio in ordine di tempo sono le missioni di Mons. Zuppi inviato da papa Francesco prima a Kiev e poi a Mosca: accolte prima con strali (qualcuno le ha definite ossessive e deliranti) e poi con scherno.
Come se fosse possibile riportare la pace con uno «schiocco di dita» dopo mesi di bombardamenti, crimini, uccisioni, devastazioni ambientali. E scelte armate. Come è possibile rallegrarsi di fronte ad un fallimento negoziale? Anche se quello dell’Arcivescovo di Bologna a mio parere non è certo un fallimento, ma un prezioso tentativo di tenere accesa la fiammella della pace, dandole ossigeno.
La pace ha bisogno di tempo, di fatica, di impegno… come diceva Martin Luther King «non si può scacciare il buio con altro buio». Ogni tentativo in cui si accende la speranza di trovare la pace assume già un grande valore, pur se il cammino è più difficile da pensare e realizzare, perché presuppone assunzione di responsabilità e disponibilità a cedere potere e vantaggi. Tutto è molto più semplice con la «banalità della guerra», che proprio per tale motivo «funziona bene» soprattutto in un mondo iper-competitivo come quello liberista.
La banalità della guerra sterilizza tutto, sia le scelte attuali per il futuro sia quanto è stato fatto nel passato, consentendo inopinatamente anche a chi ha alimentato con armi guerre e violazioni di diritti umani di brandire il Diritto Internazionale come giustificazione dell’ineluttabilità della guerra. Magari chiedendo, dopo decenni di scelte sbagliate (non pensiamo solo all’Ucraina ma anche al raddoppio in venti anni della spesa militare che ha portato a un mondo più in conflitto armato), una soluzione magica e immediata a chi avrebbe intrapreso altre strade e soprattutto è consapevole che un’inversione di rotta e una ricucitura di vera Pace sono impossibili in poco tempo quando si è immersi nella guerra.
Per gli intellettualmente disonesti che fino a ieri alimentavano il sistema di guerra e ora si scandalizzano delle sue drammatiche conseguenze qualsiasi idea che prefiguri un’alternativa di pace attraverso percorsi nonviolenti deve essere spazzata via. Perché renderebbe chiara l’inconsistenza della scelta armata e militare come «soluzione», rendendone evidente la reale inefficacia soprattutto di percorso.
C’è poi il tema delle fallaci logiche e posizioni incoerenti su cui poggia il castello di carte della guerra «obbligata». Anche per il conflitto in Ucraina. Come spiegare altrimenti una Russia che da un lato è fragile, e quindi si può battere continuando a sostenere con le armi Zelensky, ma contemporaneamente una minaccia così grande da «costringere» l’Occidente ad accelerare il proprio riarmo (nonostante in dieci anni la Nato abbia superato di 10.000 miliardi di dollari le spese militari di Mosca)? Oppure con la figura di Putin: da un lato pazzo sanguinario che ha iniziato un’invasione senza senso ed è indisponibile a qualsiasi ipotesi di negoziato perché incapace di ragionare. Ma dall’altro considerato del tutto «razionale» nella gestione dell’arma nucleare?
Per giustificare il ricorso alle armi e scrollarsi di dosso le proprie responsabilità è più semplice credere in un Putin a due facce. Aveva dunque ragione papa Giovanni XXIII sessanta anni fa quando scriveva nella “Pacem in terris” che, in particolare nell’era atomica, è fuori di testa (“alienum est a ratione”) pensare che «la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia». Che si può trovare solo con l’intelligenza della pace.
* Coordinatore Campagne Rete Italiana Pace e Disarmo
Usa e Ue, fondamentalisti e politici contro la pace
DOMENICO GALLO 30 GIUGNO 2023
Anticipiamo uno stralcio dell’introduzione di Domenico Gallo al convegno di oggi a Roma “Guerra o Pace?”
Vincere! Nel nostro tempo drammatico questa parola d’ordine è ritornata in auge, emergendo dalle nebbie del passato. Ora come allora, essa trasvola e accende i cuori delle élite politiche, si trasmette da Stoltenberg a Von der Leyen, da Metsola a Michel e Borrell. Plana a Strasburgo, infiammando i cuori dei deputati europei, che esortano gli Stati membri a incrementare l’assistenza militare al governo ucraino per avvicinare l’ora della “vittoria”.
La guerra, iniziata il 24.02.’22 con l’aggressione russa, si deve concludere necessariamente con la vittoria dell’aggredito e la sconfitta dell’aggressore. Per vittoria si intende la capacità dell’Ucraina di “riacquistare il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale”, cioè di recuperare manu militari i confini del 1991. Solo in questo modo, secondo la vigente narrazione a reti unificate sarà possibile pervenire a una “pace giusta”, che ristabilisca il primato del diritto sulla forza. Questa pretesa di ottenere la pace attraverso la “vittoria” esclude ogni possibilità di negoziato, che Zelensky ha addirittura vietato per legge. La mediazione non contempla vittorie, ma è, per antonomasia, la conciliazione di interessi geopolitici contrapposti, a cui si deve dare identica legittimità. Il fondamentalismo religioso, lo sappiamo tutti, è fonte di conflitti e di violenze perché indurisce i principi (anche se astrattamente ragionevoli) e li rende assoluti, scagliandoli sulla testa delle persone, incurante del danno che produce. Il fondamentalismo politico di quello che è stato chiamato Occidente collettivo non è meno dannoso del fondamentalismo religioso. Le scelte fin qui compiute dalla Ue e dalle Cancellerie di Paesi europei a rimorchio di Usa e Gb sono dettate da un fondamentalismo cieco: si agitano sopra la testa dei popoli principi ammantati di assolutezza, che vengono impugnati strumentalmente, secondo ragioni di opportunità politica, per essere poi rinnegati e messi da parte quando non più utili.
Il fondamentalismo politico della Santa alleanza occidentale si basa sulla negazione totale degli interessi geopolitici della Russia e sulla cancellazione del passato. Tutti i documenti delle fonti occidentali parlano di “unprovoked and unjustified military aggression against Ukraine”. Indubbiamente la cosiddetta “operazione militare speciale” iniziata il 24 febbraio 2022 è un’azione ingiustificata perché non è ammissibile nell’ordinamento internazionale la legittima difesa preventiva, quindi costituisce un atto di aggressione e un crimine internazionale. Il veleno in questa formula, ripetuta come un mantra, sta nell’aggettivo unprovoked, che annulla tutti gli antecedenti dell’aggressione fino al punto di falsificare la Storia. Il nostro ex ministro degli Esteri (1996-2001) Lamberto Dini in un’intervista a Milano Finanza dell’1.03.’22, ha testimoniato: “Come ministro degli Esteri ho partecipato a numerosi incontri con i ministri Primakov e Ivanov e il segretario di Stato americano Madeleine Albright, e posso affermare che il pensiero dei russi non è mai cambiato. Avere basi Nato lungo i 1.500 km del confine ucraino per la Russia è sempre stato inaccettabile. Da qui nascono le richieste di Putin, che invece sono state ritenute irricevibili dagli Usa. Gli Stati Uniti non hanno mai dato spiegazioni sul perché considerassero inaccettabile un’Ucraina neutrale. Si sono limitati a dire che la questione non era all’ordine del giorno, ma per anni hanno continuato ad armare l’Ucraina. Ora si è scatenato un conflitto assurdo, ma mi domando se Stati Uniti ed Europa non ne siano collettivamente responsabili insieme alla Russia”. Peccato che neanche un granello della saggezza di Dini sia penetrato nella testa dei suoi successori, anzi la sua testimonianza è stata immediatamente rimossa dal dibattito pubblico.
Da oltre venti anni gli Stati Uniti hanno coinvolto l’Europa attraverso la camicia di forza dell’Alleanza atlantica in una insensata politica di scontro con la Russia, che ha sostituito la cooperazione con l’emarginazione, il dialogo con l’intimidazione, col risultato di provocare una pericolosa rinascita dell’orgoglio nazionale russo. Sottolineare il ruolo negativo dell’espansione della Nato a Est non significa giustificare le azioni della Russia o condonarle. Si tratta di spiegarle, alla ricerca di una via d’uscita pacifica dalla guerra e di una pace duratura. Significa rendersi conto che il conflitto era prevedibile e, per ciò stesso, prevenibile. Anche da ultimo si sarebbe potuto evitare, ove si consideri che il 15.12.2021 la Russia consegnò le sue proposte di accordo, pubblicate sul sito del ministero della Difesa russo.
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