SE IL MIO CORPO È UN VASCELLO IO SONO IL SUO CAPITANO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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SE IL MIO CORPO È UN VASCELLO IO SONO IL SUO CAPITANO da IL MANIFESTO

Il corpo erotico non è poca cosa per una donna

Verità nascoste. La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos

Sarantis Thanopulos   19.02.2022

Nel Novembre scorso Kathleen Stock, filosofa dell’Università di Sussex, ha dato le sue dimissioni a causa di una dura contestazione nei suoi confronti da parte degli studenti della sua Università e di molti accademici inglesi, da lei definita “ostracismo medievale”. Stock, denunciata come trans-fobica, è legata alla LGB-Alliance che ritiene la confusione tra “sesso biologico” e “genere” una minaccia contro il diritto di gay, lesbiche e bisessuali di amare persone dello stesso sesso.

Giorni fa la cantante inglese Adele, vincitrice nei Brit-Awards, per la prima volta assegnati senza distinzione tra cantanti donne e uomini, ha dichiarato durante la premiazione: “Capisco perché hanno cambiato il nome del premio, ma amo davvero essere una donna, amo davvero essere un’artista donna”. Anche lei è stata contestata di “transfobia femminista”.

Sottende questo conflitto, diffuso in tutto il mondo occidentale, la questione del rapporto con il nostro corpo. Il fraintendimento di questo rapporto è chiaro nel l’affermazione finale dell’ intervento su The Guardian di una donna transessuale che ha sottoposto il suo corpo a varie manipolazioni: “Questa è una concezione che, secondo quanto ha detto, nasce come reazione al fatto che il nostro corpo è “arbitrario”.

Non si può scegliere il colore dei nostri occhi, dei nostri cappelli, della nostra pelle. Se il nostro Sé e in disaccordo con il nostro corpo possiamo modificare quest’ultimo superficialmente o in modo che “cambia la vita”.
Possiamo cambiare il colore dei nostri cappelli e anche dei nostri occhi (con una lente colorata). Michael Jackson provò a cambiare il colore della sua pelle. Si cambia seno, labbra, orecchie. Non è la stessa cosa di un trapianto/cambiamento d’organo. Non tanto per la solita priorità assegnata alla sopravvivenza materiale, ma, piuttosto, perché riguarda la nostra apparenza, il nostro “aspetto”.
Siamo sicuri che quando modifichiamo il nostro corpo è il nostro Sé che lo esige e non lo sguardo degli altri (sia che lo compiaciamo sia che lo combattiamo)?

L’idea poi che siamo padroni del nostro corpo e lo manipoliamo come ci pare e piace (diversa dal controllo mentale, ugualmente mistificante, su di esso) tradisce l’interiorità, perché ignora che l’intima sensazione/concezione di sé ha le sue radici nelle relazioni corporee. Queste radici sono sensuali, erotiche. Quando una persona è in disaccordo col suo corpo sul piano dell’identità sessuale deve fare i conti con il fatto che sul piano erotico ciò è una limitazione seria. Se le donne (eterosessuali e omosessuali) non si identificano con le donne transessuali, non è perché sono “femministe”, ma perché per loro avere un corpo di donna e non di un uomo non è cosa di poco conto. Dal loro punto di vista, che non si vede come possa non essere condiviso, il loro corpo sessuato, erotico è fondamentale (indipendentemente dal suo aspetto). E non riescono a riconoscerlo in un corpo di uomo modificato che non sarà mai il loro, ma un sembiante.

Viviamo in un mondo che diffida della complessità e ama le semplificazioni. Ė necessario resistergli. Il corpo biologico non basta per avere un’identità sessuale e mai si può imporre a un essere umano sentirsi in un modo che non riconosce suo. La castrazione psichica è la cosa più terribile che ci può accadere. Inversamente, l’apparato psichico non può costruire un corpo erotico.

Affrontare la contraddizione tra il sesso biologico e il sesso psichico ricorrendo al “genere” (il sesso come comportamento sociale, l’incubo di un mondo stereotipizzato) è peggio che andar di notte. Tra una donna e una donna transessuale la differenza è ineliminabile, se non si vuole aggredire la sessualità femminile. Si vada oltre la finzione e l’ipocrisia. L’inclusione vera è l’accettazione dell’altro che non nega la sua differenza.

Il sentimento della vita è un volo in alto sul «Calcinculo»

Cinema. Il nuovo film di Chiara Bellosi, un racconto dell’adolescenza che diviene scoperta e invenzione del mondo. Dopo la presentazione alla Berlinale, sarà in sala il 10 marzo

Cristina Piccino  19.02.2022

Benedetta adolescente senza gioia vive con la madre, il padre e le due sorelline più piccole in una periferia romana qualsiasi: la sua giornata è la scuola insieme all’amica un po’ punk, forse la sola, e quella casa dove si sta troppo stretti che la fa sentire ancora più a disagio. Un giorno sul prato stepposo di fronte alla sua finestra arriva un luna park e con la bancarelle e la giostra c’è pure Amanda, lunatica e un po’ cinica, almeno in apparenza, di cui Benedetta incrocia i passi mentre qualcuno la scaraventa giù dalla macchina. Lei lo insulta, riempie Benedetta di complimenti, che per la ragazzina è strano infatti a cominciare dalla madre non fanno altro che dirle quanto è grassa. E poi le regala una farfalla, sciogliendone i capelli, Benedetta già la ama, ma può essere davvero così semplice?

CHIARA BELLOSI definisce Calcinculo una «fiaba», potremmo dire allora: c’era una volta una ragazzina triste che incontra un’altra e la segue per essere felice? Prima della «storia» per la regista milanese è però una questione di traiettorie dei corpi, dei sentimenti, è qui che si posiziona muovendosi lungo quel bordo su cui i personaggi si incontrano, e disegnano il loro andare verso un qualcosa che rimane indefinito, che racchiude una possibile scoperta di sé. Come già nel suo film di esordio, Palazzo di giustizia, anche Calcinculo – appena presentato alla Berlinale, nella sezione Panorama, e in sala il 10 marzo – vive in uno spazio di affinità e di contrappunti: l’appartamento di Benedetta pieno di gente e il camper di Amanda – «colei che è fatta per amare» le spiega – che occupa solo lei. Benedetta (Gaia Di Pietro) è sovrappeso, la madre la tormenta per questo: medici, solo foglie di insalata, quando tutti gli altri mangiano la pasta, era danzatrice non ce la fa a accettare una figlia grassa. Ma forse a farle aprire il frigorifero di notte è anche quel nodo di frustrazioni famigliari che respira intorno, la mamma che si lamenta per la fine della carriera – mai iniziata peraltro – a causa della maternità, cioè di lei, il padre che vorrebbe essere meccanico e invece lavora per il suocero.

Amanda (Andrea Carpenzano) invece è magrissima, le piace sedurre giocando con la sua sessualità fluida, che anche spaventa, nessuno rimane più di una notte. E magari lei non lo vorrebbe nemmeno. In fondo sono due solitudini, anche se di Amanda non sappiamo nulla, nessuna confidenza, solo qualche intuizione di malinconia – e un bisogno di difendersi con la durezza mai spiegate, che affiorano attraverso gli occhi di Benedetta, ammaliata da chi improvvisamente le ha spalancato una possibilità di scoperte, di allegria, di una vita diversa, che la fa sentire protagonista.

È APPUNTO lo sguardo di Benedetta che guida la narrazione con quella sua fragilità sospesa tra un lato ancora infantile e una consapevolezza adulta – che poi è lo spaesamento dell’adolescenza: la realtà prende forma da lì. La roulotte diviene una scatola delle meraviglie, Amanda una maga irriverente che può essere crudele ma che sa farla sentire la ragazza più bella del mondo, e un «calcinculo», volo e pedate, eccitazione e spavento, il riassunto più semplice dell’esistenza. Le notti in macchina quando Amanda sta con qualcuno, le litigate, truccarsi insieme, baciarsi, scoprire il desiderio. Ma l’on the raod di formazione nella regia di Bellosi – che ha lavorato sulla sceneggiatura di Maria Teresa Venditti e Luca De Bei – sposta il paesaggio sulla fisicità dei suoi personaggi, a cui rimane sempre vicinissima fino quasi a catturarne il respiro.

Nei rossori della ragazzina, in quel suo gesto di sciogliersi o di legarsi a coda i capelli lunghissimi si disegna una geografia delle emozioni, con la confusione e le domande che fanno parte di un’età e sono insieme universali, senza bisogno di spiegazioni o di mostrare l’ambiente. Il mondo si manifesta nell’intimità di scontro e di vicinanza, nei bisogni e nella tristezza, tra la paura e un’improvvisa, sconosciuta energia che porterà ancora altrove. Una scommessa come quella di un film che mette da parte il «genere» del teen-movie per interrogare le possibilità del cinema nel corpo a corpo con un movimento verso una libertà che può essere anche pieno di inciampi, di cui afferra con delicatezza il sentimento, quei passaggi che sono l’imprevisto della vita.

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