Giordano Bruno. La ricerca della felicità
di Massimo CACCIARI, da “la Repubblica”, 17 febbraio 2017
Quando Giordano Bruno è condotto al rogo e getta in faccia ai suoi carnefici le parole: «forse avete più paura voi nell’infliggermi questa condanna, che io nel subirla», e Tommaso Campanella, torturato crudelmente a Castel Nuovo, simula la pazzia per salvarsi la vita, l’Europa è nel vortice di quelle guerre civili e tra Stati, guerre “totali”, politiche e religiose, economiche e ideali, che solo dopo mezzo secolo troveranno una “pace”, gravida di tutti i futuri e ancor più tremendi conflitti.
Queste lotte segnavano per Bruno la decadenza d’Europa, il suo declino politico e morale. In lui e in Campanella soffia lo spirito dei grandi riformatori. Per entrambi è vuota qualsiasi filosofia che non liberi l’uomo alla ricerca della propria felicità. Qualsiasi atto è lecito per perseguirla, poiché la nostra natura la esige come proprio fine. Ma per conquistarla è necessario sconfiggere, e in noi stessi anzitutto, i dèmoni della superstizione, della paura, dell’invidia, dell’egoismo, dell’ingiustizia. Occorre dar loro lo spaccio, preparando l’attesa di nuovi eroi fondatori, novelli Perseo, liberatori di Andromeda-Europa prigioniera dei mostri. Vengono Bruno e Campanella dall’esperienza diretta delle sciagurate condizioni dei popoli del Mezzogiorno, scorre nelle loro vene l’antico sangue dei nomoteti pitagorici di Magna Grecia, e anche quello della profezia medievale dell’abate di San Giovanni in Fiore.
Tale era anche il significato autentico della tradizione civile, repubblicana del nostro Umanesimo. Non resuscitare l’Antico, ma suscitare i moderni ad esserne all’altezza, a emularne la virtù, cioè la potenza della mente e delle arti, la loro potenza costruttiva. E come attingere a questa altezza senza furore? Nulla di vagamente “estatico” nel termine, nulla di immaginosamente “romantico” o irrazionale. Una grande riforma politica e religiosa, tale da coinvolgere in sé tutte le dimensioni della vita, neppure sarebbe concepibile senza che ad essa tendessero tutte le nostre facoltà, tutta la mente e tutto il cuore, e il corpo stesso. Sì, questo corpo, le sue mani, strumento divino, i suoi nervi, sono infinitamente più che res extensa. Materia non è inopia, non è egestas, ma “cosa divina, e ottima parente”. Tutto è animato; non un atomo di materia è “inorganico”. Vibra in questo genus italicum del pensiero europeo l’idea di physis, Natura naturans, fonte inesauribile, delle prime filosofie, di Democrito, di Empedocle, ma anche della Venus lucreziana.
Per Bruno, la Natura è infinita esplicazione attraverso infiniti effetti dell’Infinita Causa. Effetti finiti, certo, res singulares, finite vestigia o ombre di quella Causa, ma formanti un Tutto infinito. La Causa è ad essi immanente. L’ “ottuso senso” coglie soltanto enti divisi, separati gli uni dagli altri, o connessioni parziali. Ma la mente, che mi dota “le spalle di ali”, riconosce la Armonia di anima e materia, e riconoscendo l’Infinità della Causa sa pure infinita la finitezza delle sue esplicazioni. Infinitas finita.
È questa la stessa infinità della nostra intelligenza, che tutto indaga, che di ogni ente finito vuole scoprire l’essenza, eppure “mai s’appaga”. Nella Causa o in Dio essere e potere coincidono in atto. E tuttavia anche per noi la coincidenza vale, anche noi siamo per ciò che possiamo; la perfezione del nostro essere si commisura alla sua potenza.
Quanto più comprendiamo l’armonia tra Infinita Causa e infinità dei suoi effetti, tanto più la nostra mente si rivelerà perfetta esplicazione della stessa Causa. E se questo è il fine che la sua natura le impone, se in sé e in tutta la Natura nulla vede che possa essere costretto in rigidi, predeterminati confini, nessuna Legge che possa prevedere le forme in cui potrebbe esplicarsi l’Infinita Causa, allora l’intero cosmo le apparirà immagine di libertà. Con le ali della mente ogni “fittizio carcere” viene trasgredito. «Non sono fini, termini, margini, muraglie che ne defrodino e suttragano la infinita copia de le cose».
Come inchiodare l’intelligenza a singole apparenze?
Come murarla, se essa è vestigio, orma, ombra dell’Infinito?
Prima o poi è inevitabile si risvegli. Ma non v’è nel discorso del Nolano alcuna retorica dell'”oltrepassamento”, del “sempre oltre”. La fecondità della Natura, cui la mente partecipa in quanto ne costituisce la parte osservante-interpretante, non si risolve in un mero “gettar fuori” membra disperse, quasi relitti di una risacca. La Natura crea e armonizza, creando connette e compone; i suoi elementi, pur restando sempre distinti, senza confondersi mai, dialogano gli uni con gli altri, anche a infinita distanza, si “ricordano” l’uno dell’altro anche dopo tempi infiniti. Un divino colloquio appare, in fondo, la stessa Causa. È di questo colloquio che la filosofia è chiamata a farsi immagine. Il filosofo studia l’amicizia tra gli essenti, le forme della loro connessione. È magia buona, che “sposa” gli elementi. La guerra che ci separa fino a negarci non è allora soltanto un regresso allo stato dell’uomo lupo all’uomo, non è soltanto pazzia opposta a quel furore, di cui si è detto, ma pretenderebbe negare il supremo, ontologico vincolo di amore che regge l’universo nell’infinità dei suoi mondi. Ogni muraglia che qui si voglia innalzare tradisce, allora, non semplicemente questa o quella idea, o è ingiusta nei confronti di questo o quell’uomo, ma pretende di ribellarsi all’eterno creare della Natura stessa, di cui la libertà della mente è esplicazione e immagine.
L’Europa che si sprofonda nella sua caverna egoica, che sta portando a esiti estremi quel declino morale e politico, già tragicamente illuminato il 17 febbraio del 1600 dal rogo di Campo dei Fiori, questa Europa di mura, fittizie carceri e impotenti potenze, sarà eruttata via dalla potenza della stessa Natura, se si ostinerà a non ascoltare la voce dei suoi grandi, lo spietato realismo delle loro profezie, le loro dolorose verità. Memoria attiva, immaginativa, memoria di forze che possono essere genesi del nostro futuro. Memoria che questa Europa sembra impegnata solo a dimenticare.
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