RAPPORTOO ISPRA: “CONSUMO DI SUOLO 2020” da IL MANIFESTO
I rischi di nuove grandi opere incompiute
Stefano Ciafani *, Damiano Di Simine** 23.07.2020
I dati presentati da Ispra nell’ormai consueto (ed è bene che lo sia) report annuale sul consumo di suolo richiedono un approfondimento che esplori la grana fine delle trasformazioni nel territorio entro cui rintracciare dinamiche ricorrenti. Quella delle città è una possibile chiave di lettura, anche perché le principali concentrazioni urbane si trovano sovente a rappresentare delle isole felici (o meno infelici) rispetto al restante territorio, in una fase di stagnazione del mercato immobiliare qual è quella che stiamo vivendo da oltre un decennio.
Il futuro post-Covid potrebbe riservarci mutazioni degli orientamenti, ma certo non leggibili nei dati illustrati da Ispra che tratteggiano il quadro a consuntivo alla scadenza del 2019: anno in cui abbiamo avuto, nel campionario dei capoluoghi regionali, scenari completamente differenti tra città – Roma in testa e, a seguire, i principali capoluoghi di Veneto, Puglia e Sicilia – in cui i processi urbanistici sono avvenuti ancora e prevalentemente con consumo di aree verdi. E, all’estremo opposto, città altrettanto popolose e dinamiche, come Milano, Firenze e Cagliari, che hanno chiuso il bilancio con un valore di consumo di suolo prossimo o pari a zero.
Senza voler in alcun modo generalizzare o ricercare improbabili affinità che accomunino città così diverse in questa (comunque straordinaria) prestazione territoriale, traiamo una sola considerazione: non si può dire che queste ultime siano città che soffrano più di altre di una congiuntura economica avversa. Semplicemente, hanno saputo trovare, talvolta con formule di strepitoso successo, percorsi di sviluppo e rigenerazione urbana che prescindono dalla spalmatura, concentrica o interstiziale, di nuove costruzioni. In altre parole, non è più vero che fermare il consumo di suolo significa fermare l’economia: forse è più vero il contrario.
Da questa considerazione, appare ancora più inaccettabile che l’Italia (ma anche l’Europa nel suo complesso) non disponga di una legge che tuteli il più prezioso tra i suoi capitali naturali, il suolo. Perché i suoli continuano ad essere indifesi dalle aggressioni emergenti. E tra queste sicuramente si profila la nuova e rischiosa stagione infrastrutturale: occorrerà vigilare affinché il Recovery Fund non finisca per produrre una nuova colata di grandi opere inutili o incompiute. Sul versante privato è invece il settore della logistica quello in grado di infliggere le ferite più dolorose, fin dentro le città, ma ancor più nei territori agricoli, per la tumultuosa domanda di grandi sedimi produttivi e magazzini con relative opere di accesso.
Nell’immobiliare logistico operano procacciatori di suoli ‘ready to build’, per nulla interessati ai processi di recupero di aree o immobili dismessi.
La mancanza di una legge che disponga regole utili a sviluppare strumenti agili per la negoziazione e la reimmissione sul mercato di aree dismesse è, precisamente, ciò che favorisce comportamenti speculativi e proliferazioni di capannoni incuranti del tanto, troppo abbandono edilizio che ingombra il territorio, concorrendo al suo degrado ambientale e sociale.
* presidente nazionale di Legambiente, ** responsabile suolo di Legambiente
Italia sempre più nel cemento persi 2 metri quadri al secondo
Ambiente. La denuncia nel rapporto Ispra: si costruisce anche nelle aree a rischio idrogeologico e sismico
L’Italia continua a sigillare il suolo, una risorsa non rinnovabile, coprendolo di cemento. Anche nel 2019 il ritmo è stato di due metri quadrati al secondo: 57 milioni di metri quadrati, in tutto, cioè ben 135 metri quadrati per ognuno dei 420mila nuovi nati. Lo certificano i dati del Rapporto Ispra SNPA«Il consumo di suolo in Italia 2020», presentati alla Residenza di Ripetta a Roma. Il lavoro, che analizza le trasformazioni del suolo negli anni, in questa edizione si arricchisce di contributi provenienti da 12 Osservatori delle Regioni e Province autonome, anche grazie al progetto Soil4Life.
IL CONSUMO DI SUOLO, spiega l’Ispra, non va di pari passo con la crescita demografica: non c’è un legame, quindi, tra popolazione e nuovo cemento, un disaccoppiamento che è ancora più evidente nelle aree marginali che soffrono un calo demografico, dove si continua però a costruire. La crescita delle superfici artificiali continua anche laddove la popolazione si riduce. Nel 2019 i 57 milioni di metri quadrati di nuovi cantieri e costruzioni si registrano in un Paese che vede un calo di oltre 120 mila abitanti nello stesso periodo. Ognuno di questi ha oggi a “disposizione” 355 metri quadrati di superfici costruite (erano 351 nel 2017 e 353 nel 2018).
LA COPERTURA ARTIFICIALE avanza anche nelle zone più a rischio del Paese: nel 2019 risulta ormai sigillato il 10% delle aree a pericolosità idraulica media P2 (con tempo di ritorno tra 100 e 200 anni) e quasi il 7% di quelle classificate a pericolosità elevata P3 (con tempo di ritorno tra 20 e 50 anni). La Liguria è la regione con il valore più alto di suolo impermeabilizzato in aree a pericolosità idraulica (quasi il 30%). Il cemento ricopre anche il 4% delle zone a rischio frana, il 7% di quelle a pericolosità sismica alta e oltre il 4% di quelle a pericolosità molto alta.
Il Veneto, con +785 ettari, è la regione che nel 2019 consuma più suolo (anche se meno del 2017 e del 2018), seguita da Lombardia (+642 ettari), Puglia (+625), Sicilia (+611) ed Emilia-Romagna (+404). A livello comunale, Roma, con un incremento di suolo artificiale di 108 ettari, si conferma il comune italiano con la maggiore quantità di territorio trasformato in un anno (arrivando a 500 ettari dal 2012 ad oggi), seguito da Uta (un Comune dell’area metropolitana di Cagliari; +58 ettari in un anno) e Catania (+48 ettari). Va meglio a Milano, Firenze e Napoli, con un consumo inferiore all’ettaro negli ultimi 12 mesi (+125 ettari negli ultimi 7 anni a Milano, +16 a Firenze e +24 a Napoli nello stesso periodo). Torino, dopo la decrescita del 2018, non riesce a confermare il trend positivo e nell’anno di riferimento, riprende a costruire, perdendo 5 ettari di suolo naturale.
Buone notizie arrivano dalle aree protette, che nel 2019 hanno visto compromessi 61,5 ettari di suolo, valore dimezzato rispetto all’anno precedente, dei quali 14,7 concentrati nel Lazio e 10,3 in Abruzzo.
Al contrario, lungo le coste, già cementificate per quasi un quarto della loro superficie, il consumo di suolo cresce con un’intensità 2-3 volte maggiore rispetto a quello che avviene nel resto del territorio.
NEGLI ULTIMI SETTE ANNI, tra il 2012 e il 2019, la perdita dovuta al consumo di suolo in termini di produzione agricola complessiva, stimata insieme al Crea, raggiunge i 3.700.000 quintali; nel dettaglio 2 milioni e mezzo di quintali di prodotti da seminativi, seguiti dalle foraggere (-710.000 quintali), dai frutteti (-266.000), dai vigneti (-200.000) e dagli oliveti (-90.000). Il danno economico stimato è di quasi 7 miliardi di euro, che salirebbe a 7 miliardi e 800 milioni se tutte le aree agricole fossero coltivate ad agricoltura biologica.
NON SOLO CONSUMO di suolo: su quasi un terzo del Paese aumenta dal 2012 ad oggi anche il degrado del territorio dovuto anche ad altri cambiamenti di uso del suolo, alla perdita di produttività e di carbonio organico, all’erosione, alla frammentazione e al deterioramento degli habitat, con la conseguente perdita di servizi ecosistemici.
«I DATI CHE EMERGONO dal Rapporto sono preoccupanti. Il consumo di due metri quadrati di suolo al secondo, lo spreco di suolo e il cemento che avanza, purtroppo anche nelle aree a rischio idrogeologico e sismico, mi riportano a sottolineare l’urgenza di accelerare l’iter di approvazione del Ddl sul consumo del suolo. Per questo rivolgo un appello alle forze politiche a procedere rapidamente» ha commentato il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa.
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