Milano. Città Studi: tra rigenerazione e speculazione
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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Milano. Città Studi: tra rigenerazione e speculazione

di Irene PIZZOCCHERO, Salviamo Città Studi

Nelle intenzioni della attuale politica milanese e lombarda circa 350.000 mq, 33 edifici pubblici, un terzo di tutto il quartiere Città Studi, dovrebbero essere delocalizzati nei prossimi anni, con un processo di distruzione di un luogo vivo e vitale senza precedenti, per rendere attrattive aree attualmente dismesse, inquinate e abbandonate.

È in programma infatti il trasferimento degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Besta e Istituto Tumori, nell’area abbandonata ex Falck di Sesto San Giovanni, e dei dipartimenti scientifici (adesso si chiamano così le facoltà) dell’Università Statale nell’area da rigenerare ex Expo di Rho. In questo modo pazienti, studenti, ricercatori, medici, docenti, personale amministrativo e tutto l’indotto potranno popolare delle nuove “cittadelle”, per cui sono già pronti gli investimenti di società internazionali quali gli arabi di Falcon Malls e gli australiani di LendLease con i centri commerciali e gli sviluppi immobiliari di Sesto San Giovanni, Rho e Cascina Merlata.

Nel documento degli obiettivi del Piano di Governo del Territorio del Comune di Milano, si può proprio leggere che la rigenerazione di ambiti attualmente in fase di ridefinizione, come le aree del post Expo e quelle di Città Studi, «sono legati alla rilocalizzazione di funzioni e servizi di livello sovra comunale, che potranno contribuire in modo rilevante a ridefinire l’assetto urbano della città e dell’intera area metropolitana del prossimo decennio» (p. 48).

Ecco il motivo per cui lo scorso 19 aprile per le vie di Città Studi a Milano si è tenuto un corteo sonoro e ancora prima, a novembre, una fiaccolata molto partecipata.

La coppia di pensionati col cartello al collo, la signora col fischietto in bocca, la mamma con la bambina al seguito, il ragazzo con la maglietta con la scritta “Giù le mani da Città Studi”, l’uomo e il suo cane, il politico che ha visto tante battaglie, la deputata che vive nel quartiere, tante persone diverse si sono unite per difendere il quartiere storico milanese dedicato alla scienza, alla ricerca e allo studio.

Scrive il Politecnico in un rapporto commissionato dal Comune di Milano: «integrata nella città consolidata, Città Studi è il luogo in cui si riversano ogni giorno migliaia di studenti, docenti e personale tecnico amministrativo delle università, oltre agli addetti e  agli utenti dei due istituti ospedalieri, del CNR e delle altre funzioni presenti nell’area». È inoltre il quartiere universitario più vicino all’aeroporto di Linate, ha la stazione ferroviaria di Lambrate, due stazioni della metropolitana verde (e prossimamente la linea 4) che la collegano rapidamente alla Stazione Centrale e al centro città. Non menziona, ma aggiungiamo noi, i tram e gli autobus, le piste ciclabili, le biblioteche, le scuole di ogni ordine e grado, le chiese, i campi sportivi, gli esercizi commerciali e quelli pubblici.

L’insediamento universitario di Città Studi, scrive sempre il Politecnico che con orgoglio vi ha sede e vi progetta nuove migliorie, è «l’esito di un secolo di storia che ha portato alla creazione di un insediamento universitario integrato nella città» e, sosteniamo noi, una delle eccellenze di Milano che invece una sciagurata politica urbanistica sta tentando di distruggere.

Pensiamo al caso di un attempato ma ancora piacente signore, giunto alla sua personale maturità e stabilità sebbene con qualche acciacco, che cade preda dell’infatuazione per una giovane donna: improvvisamente la moglie gli appare noiosa e piena di difetti, la sua casa inospitale, l’ambiente familiare assillante. Per inseguire il suo sogno, il signore mette allora a repentaglio le sue finanze e quanto costruito in tanti anni, tratta con fastidio gli amici e i parenti che gli consigliano prudenza e liquida i critici come conservatori, puritani e di vedute ristrette.

Così si sta comportando l’Università Statale di Milano, attratta dall’idea di una città, cittadella o parco (nel tempo la definizione è cambiata) della scienza, del sapere e dell’innovazione in progetto per la rigenerazione dell’area a nord-ovest di Milano che nel 2015 ospitò l’Esposizione Universale. Un’area di 100 ettari (di cui 10 o 15 al massimo destinati all’università) attualmente vuota e adatta a ospitare qualche concerto estivo, che nelle intenzioni dovrà diventare densamente popolata e costruita, in barba a quel referendum con cui i milanesi nel 2011 ne avevano decretata la destinazione a parco.

I milanesi volevano un vero parco verde, naturale, ricco di flora e fauna e non quell’accezione anglosassone di “park” come illustrato dall’arch. Ratti – incaricato del progetto insieme alla società australiana LendLease, vincitori del bando apposito di Arexpo però adesso in attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato sul ricorso degli esclusi – in una conferenza di presentazione del masterplan che si è tenuta al Politecnico la scorsa settimana e in cui lo stesso ha dichiarato che tuttora non esiste un masterplan, ma solo alcuni principi guida.

L’Università Statale il 6 marzo 2018 ha espresso, in una riunione blindata (nel vero senso della parola, blindata da polizia e carabinieri con tanto di manganellate a studenti e cittadini inermi che protestavano), il parere favorevole del suo Senato accademico al trasferimento di tutti i dipartimenti scientifici da 220-250 mila metri quadrati occupati in Città Studi, nella zona est di Milano, a 100-150 mila metri quadrati nell’area ex Expo, zona nord ovest dove la città confina con i comuni di Rho e Baranzate.

All’Università Statale è stato promesso che l’operazione di trasferimento avrebbe avuto un finanziamento di 130 o 135 milioni da parte del Governo (130 stabiliti e siglati in una tabella del Patto per la Lombardia da Renzi e Maroni e 135 dichiarati dai vertici universitari), ma adesso si deve aspettare la formazione di un nuovo Governo.

Nel frattempo, non trovandosi gli altri fondi necessari (la costruzione del nuovo ateneo ha un preventivo di 380 milioni di Euro) la stessa LendLease si è offerta di realizzare l’opera utilizzando il sistema di project financing.

Da notare che con questa operazione l’Università Statale di Milano abbandonerebbe edifici di sua proprietà in città per andare in un’area suburbana in concessione pagando un canone anno (si ipotizza oscillante nel tempo dai 19 ai 23 milioni di Euro all’anno) a una società immobiliare privata australiana.

Per concludere, riportiamo le parole con cui il prof. Giancarlo Consonni si esprime in un articolo di Arcipelago Milano: «lo scialo di denaro pubblico in un’operazione anti-urbana come quella del recupero dell’area ex Expo (vero e proprio buco nero di risorse collettive) dimostra che non è solo e tanto una questione di scarsità di risorse: fare città (nel senso di difendere e incrementare la qualità urbana dei luoghi) o disfare le città esistenti, è questo, più che mai, il tema centrale della politica».

Come noto, l’area ex Expo è stata recentemente ribattezzata MIND (Milano INnovation District). Da residenti in Città Studi affermiamo che la mente, mind, deve essere impiegata per creare, non per distruggere l’ambiente di vita urbana.

 

Salviamo Città Studi – Comitato Residenti

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