CHE FARE? QUELLO CHE LA CALIFORNIA CI INSEGNA da IL MANIFESTO e IL FATTO
Che fare? Quello che la California ci insegna
La terra brucia Sono almeno dieci anni che gli studiosi hanno statisticamente rilevato un incremento della superficie bruciata a causa degli incendi in tutto il mondo. Ma, grazie ai mass media, nell’immaginario collettivo […]
Tonino Perna 12/01/2025
Sono almeno dieci anni che gli studiosi hanno statisticamente rilevato un incremento della superficie bruciata a causa degli incendi in tutto il mondo. Ma, grazie ai mass media, nell’immaginario collettivo si è radicata l’idea che gli incendi devastanti siano una realtà eccezionale, una emergenza che riguarda solo alcune parti del pianeta. Pochissimi sanno che l’area più colpita al mondo non sia l’Amazzonia, ma quella delle foreste equatoriali che dalla Repubblica Democratica del Congo si estendono all’Angola, alla Repubblica Centrafricana e ad altri Paesi limitrofi. Non se ne parla mai nelle varie Coop, nei meeting internazionali che tentano di affrontare la questione ambientale, come se il fenomeno non incidesse sulla produzione di CO2. Si pensi solo che nel 2023 queste emissioni, come ricordava venerdì Luca Martinelli, sono state pari a sei volte la CO2 prodotta dall’Italia e, secondo una stima attendibile, pari all’impatto del traffico aereo che concorre col 2% alle emissioni globali di gas climalteranti.
Non solo California, dunque, ma un fenomeno mondiale. Negli stessi Usa l’andamento del rapporto tra superfice bruciata e numero degli incendi (si è passati da 3,2 milionid acri bruciati negli Usa nel periodo 1986-88 a 7,5 milioni di acri bruciati nel periodo 2020-22) ci mostra come non sia tanto il numero degli incendi a crescere quanto la furia e l’impatto devastante di questo fenomeno.
Spesso la classe politica locale si dimostra talmente impotente e impreparata da sfiorare il ridicolo. Esemplare è il caso del governatore della California, David Newsome, che nell’ottobre del 2020 di fronte a uno dei più devastanti incendi che hanno colpito la California negli ultimi anni ha reagito a questo dramma con un provvedimento che vieta la vendita delle auto a benzina a partire dal 2035!
Ma, quello che la California ci insegna è che in una delle aree più ricche del nostro pianeta la tecnologia più avanzata è impotente se pensa di fare a meno del ruolo della organizzazione sociale.
Di anno in anno si moltiplicano gli elicotteri, si usano i droni, le connessioni satellitari sono fantastiche nel regno di Elon Musk, ma niente possono di fronte all’avanzata degli incendi. E non si tratta di una natura che si vendica quanto di una società capitalistica portata alle estreme conseguenze.
Chi scrive ha sperimentato con successo, quando era presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte, come si potessero ridurre drasticamente gli incendi puntando sul presidio dei territori, sulla responsabilità e motivazione, nonché su una premialità per chi opera per spegnere da terra, quando parte il fuoco, affinché non si propagandi. Il cosiddetto “modello Aspromonte” è stato per dieci anni imitato anche da altri parchi nazionali, ma poi è stato messo da parte dalla potenza delle lobbies dei mezzi aerei che affittano allo Stato le proprie prestazioni. Qualche maligno in passato ha detto «se non ci fossero gli incendi fallirebbero queste imprese» che solo nelle regioni meridionali arrivano a gestire più di duecento milioni di euro l’anno. Il successo del “metodo Aspromonte” era basato sul fatto che i cosiddetti “contratti di responsabilità territoriale” venivano assegnate ad associazioni o cooperative che avevano nel curriculum un bagaglio di impegni in campo ambientale, unitamente al riconoscimento economico del lavoro fatto. Esattamente l’opposto di quanto avviene in California dove vengono utilizzati i carcerati per spegnere gli incendi quando ormai divampano.
E questi poveretti, circa ottocento secondo le cronache, sono stati anche questa volta mandati allo sbaraglio, rischiando la vita per un dollaro l’ora.
Denaro, tecnologia, potenza militare, non servono a niente per contrastare gli incendi come dimostra un caso esemplare nel nostro paese. il Trentino-Alto Adige (Sud Tirolo). In questa bellissima regione gli incendi sono stati da sempre controllati grazie a una tradizione civica così forte e radicata che porta migliaia di volontari, ogni anno, a presidiare il territorio e a spegnere i focolai quando dovessero innescarsi.
Come ormai avviene nel campo della salute dove la durata media della vita diminuisce quando aumenta la privatizzazione dei servizi sanitari così nella cura del territorio se si abbandona questo bene comune alla logica del profitto, se non si fa prevenzione, saremo sempre più esposti ad incendi, alluvioni, e disastri ambientali.
Cosa sta bruciando in California e quanto conta la pessima gestione del territorio
Ferdinando Boero 10/01/2025
Quando seguii il corso di Ecologia all’Università di Genova il prof. Enrico Martini fece una lezione sulle pinete impiantate nel periodo fascista. Ci spiegò che i pini non permettono la formazione di fitto sottobosco e favoriscono gli incendi, mentre la macchia mediterranea, tipica del nostro clima, è addirittura favorita dal fuoco, che innesca la germinazione dei semi. Dove il clima è mediterraneo, come in California, la vegetazione è simile alla nostra macchia e viene chiamata chaparral: è il chaparral della California del sud, nei dintorni di Los Angeles, ad andare a fuoco in questi giorni. La stessa vegetazione si trova anche in Baja California, in Messico.
Nella California del sud ci sono moltissime abitazioni e, nei dintorni di Los Angeles, ci sono le ville delle star. Il territorio della Baja California è quasi deserto. La California del sud è molto curata e gli incendi sono prontamente spenti, mentre in Baja California si spengono da soli. Paradossalmente, il territorio molto curato è sempre più vulnerabile agli incendi, anche per l’uso di piante esotiche non resistenti al fuoco, mentre il territorio abbandonato a se stesso quasi non ha problemi (visto che non brucia la casa di qualcuno). Quel che sta avvenendo a Los Angeles è una bruciante conseguenza di una gestione errata del territorio.
La vegetazione australiana ha caratteristiche simili a macchia e chaparral e alcune specie, come gli eucalipti, contengono sostanze infiammabili che alimentano il fuoco che distrugge piante che competono per lo spazio. Gli eucalipti si riprendono dopo le fiamme, come il chaparral.
Anche in Australia i fuochi hanno aumentato di intensità, proprio come in California, e i botanici ritengono che questo sia dovuto al cambiamento climatico: le specie sono adattate al fuoco, ma fino a un certo punto. Anche la grande barriera corallina australiana è composta da specie che richiedono alte temperature, ma se l’innalzamento è eccessivo vanno incontro a mortalità massive: lo sbiancamento dei coralli. La natura ha le risorse per riprendersi: le specie più tolleranti prevarranno sulle specie più sensibili e l’evoluzione innescherà ulteriori adattamenti delle specie che hanno le risorse genetiche per affrontare le nuove condizioni.
Per il momento i fuochi di enormi dimensioni hanno effetti perversi sul cambiamento climatico: la combustione della vegetazione libera anidride carbonica, esacerbando il riscaldamento climatico.
Come ci dobbiamo comportare in questi casi? Da una parte la spinta all’urbanizzazione porta a una modifica sostanziale di porzioni limitate di territorio, densamente popolate, e all’abbandono di estese zone rurali. Queste, lasciate a se stesse, potrebbero reagire come il chaparral della Baja California e non ci sarebbe bisogno di grandi interventi, visto che eventuali incendi interesserebbero aree spopolate. La crescita della popolazione, però, richiede l’utilizzo di terreni agricoli sempre più vasti, soprattutto in pianura. I vegetali che mangiamo consumano anidride carbonica e producono ossigeno ma sono destinati ad essere “bruciati” dal nostro metabolismo e da quello degli erbivori che mangiamo, con produzione di anidride carbonica. Il consumo della vegetazione coltivata rende temporaneo il sequestro del carbonio nei corpi delle piante.
Non credo esistano magiche soluzioni a questi problemi. I ricconi californiani abbandoneranno le loro ville minacciate dal fuoco e si trasferiranno su qualche isola che raggiungeranno con i loro jet privati, ma dovranno fare i conti con l’innalzamento del livello del mare e, magari, con gli uragani. Gli estremi climatici diventano sempre più accentuati e frequenti anche da noi. La siccità in Sicilia fa il paio con le inondazioni ripetute in Romagna. Ma l’unica preoccupazione riguarda la diminuzione della neve nelle località sciistiche; ma il problema si risolve con la neve artificiale!
La transizione ecologica dovrà affinare le conoscenze ecologiche (pare ovvio, ma non è scontato) in modo da comprendere sempre meglio questi fenomeni e innescare strategie di contrasto, mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico. La cultura che ha prevalso in fino ad ora prevedeva di poter dominare e sfruttare la natura per soddisfare le nostre esigenze. Per un po’ la strategia ha funzionato, ma ora i suoi limiti sono evidenti. L’articolo 44 della Costituzione dice: “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”.
Le parole sfruttamento e bonifica evidenziano una cultura di dominio sulla natura e non di adattamento alle sue caratteristiche. Dobbiamo evolvere, o saremo severamente ridimensionati. Gli ecologi dicono queste cose da moltissimo tempo e sono considerati ecoterroristi da chi ancora persegue politiche di sfruttamento illimitato della natura. Il ministro della protezione civile, comunque, ha la soluzione: assicuratevi contro incendi e inondazioni. A che serve l’ecologia? Bastano le assicurazioni, no? Lo Stato, da parte sua, non ha risorse per far fronte a queste emergenze: ci dobbiamo armare per combattere i nemici. E se fossimo noi, i nemici?
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