PICCOLI BORGHI, BIODISTRETTI, ORTI DI PACE, da IL MANIFESTO
L’occasione storica per rivitalizzare i piccoli borghi
In un momento in cui ci apprestiamo a immaginare il futuro del nostro Paese, il tema della rivitalizzazione dei piccoli comuni diventa cruciale per schiudere nuovi orizzonti. Abbiamo capito che perseverare nella difesa delle produzioni agricole e alimentari tradizionali, senza salvaguardare il tessuto sociale e comunitario in grado di sostenerle e valorizzarle, non basta più.
Se vogliamo garantire un domani alle aree agricole e alle campagne dobbiamo mantenere viva la socialità dei borghi, dove continuano a diminuire i servizi e allo stesso tempo gli abitanti. Un segnale dalla politica per cambiare questo destino di spopolamento sembra arrivare dal bando per la selezione dei progetti per il programma Borghi, che verrà finanziato con i fondi del Pnrr e che vede Slow Food, insieme ad altre realtà, al tavolo di coordinamento. Bando dove sono previsti dal Ministero della Cultura due tipi di interventi: uno da 580 milioni per progetti di rigenerazione culturale e sostegno alle imprese locali; un altro da 420 milioni da assegnare alle Regioni che selezioneranno un borgo a cui destinare 20 milioni.
L’Italia rappresenta il più importante serbatoio di biodiversità del continente, con circa la metà delle specie vegetali e un terzo delle specie animali presenti in Europa. Ogni ecosistema, anche il più piccolo e fragile ha generato una fitta trama di saperi. I territori montani e di collina rappresentano il 64% della superficie nazionale e ospitano tra il 20 e il 30% della popolazione. È qui che la salvaguardia della biodiversità, la cura del territorio, unite a buone tecnologie (servizi a basso impatto, innovazioni studiate per facilitare la vita quotidiana ed evitare l’isolamento di chi vive in montagna) possono gettare le basi per la rinascita dei borghi e rappresentare un’opportunità straordinaria per attivare economie locali e il tessuto sociale delle comunità.
Le potenzialità delle aree marginali rimangono enormi. Tutelare la biodiversità e prendersi cura di questi territori significa sostenere filiere agricole pastorali e boschive, considerate marginali ma di altissima qualità: mieli di montagna, burro e formaggi fatti con latte di animali al pascolo, vini eroici dei terrazzamenti, varietà autoctone di legumi, fagioli, ceci, lenticchie, cicerchie, di cereali, segale, orzo, farro, grano saraceno, varietà tradizionali di grano duro e di mais, di ortaggi e di tuberi, pani prodotti in quota con farina di segale, di farro, di castagne, di patate, erbe spontanee e aromatiche, piccoli frutti, castagne e mele.
Tutto ciò ci induce a ritenere che non sia pensabile proiettare i borghi nel futuro solo come mete per lo smart working o per il turismo stagionale. Certo, la connessione è imprescindibile, ma è necessario recuperare la dimensione produttiva, sostenere la nascita di aziende di giovani agricoltori, allevatori e casari. È necessario sostenere la rinascita delle botteghe, il cuore pulsante dei borghi, come luogo in cui si ricostruisce comunità e dove rinascono servizi fondamentali per gli abitanti, dagli alimentari alla parafarmacia, dall’edicola al bar. Infine, promuovere i biodistretti. Le aree marginali e abbandonate ora diventano luoghi ideali dove praticare un’agricoltura biologica. Un’agricoltura rispettosa dell’ambiente. Il comparto che attraverso pratiche virtuose, più di tutti gli altri, può mettere a valore queste risorse produttive a rischio di estinzione. Ciò che, di sicuro, abbiamo capito è che il futuro dei nostri borghi passa anche dal cibo e da una sana agricoltura.
Pagine profetiche che rimangono nella storia degli orti condivisi
Orti insorti è un libro, è stato un bestseller dei gloriosi Millelire di Stampa Alternativa, aggiornati a un euro, ma non è solo questo. La sua genesi avventurosa nasce da molteplici incontri e viaggi. Elena Guerrini, scrittrice, suo Bella tutta per i tipi di Garzanti, attrice di solida formazione, incontra Libereso Guglielmi, il giardiniere anarchico e visionario di Italo Calvino. Questi, condividendo il comune innamoramento per la terra, le fornisce il recapito di Pia Pera, la grande giardiniera.
DALLA LIGURIA A LUCCA Elena corre. Racconta del tè preso sotto la veranda, «come due signore inglesi», e dell’immediata rispondenza di contenuti. «Devi scrivere un libro, questi ricordi di tuo nonno Pompilio non vanno perduti!». E così è. In un mese Orti insorti vede la luce. La storia prende le mosse dalla solida narrazione contadina della tradizione toscana, ha la forza della lingua più rustica ed inventiva, è del tempo nel quale i bambini ascoltavano le storie davanti al focolare. Questo mondo rivive e sono passati una decina e più d’anni, in uno spettacolo che Elena Guerrini stessa porta in giro (siamo giunti ad oltre millecinquecento repliche). Il libro ha venduto oltre diecimila copie.
E’ UN AGILE VOLUMETTO che senza fronzoli scodella le verità crude dell’oppressione e della protervia dei padroni, chiamati con il loro nome, che imbrogliano dall’alto di una tracotanza che avvilisce l’ignoranza in fatto di matematica dei contadini. Racconta delle gioie e dei dolori di una vita vera dove uomini e donne vivono al ritmo della natura. E ci si scompiscia e ci si arrabbia e commuove.
«UNO ZERO NON CONTA NIENTE» e solamente nonno Pompilio, il protagonista assoluto, con il suo avere studiato e viaggiato, apre gli occhi ai mezzadri: «Lo zero conta, eccome». E questo racconto incrocia la fine delle lucciole di Pier Paolo Pasolini, laddove qui sono le luci di un autogrill a sostituire il sole al tramonto per colpa di una autostrada che viene costruita proprio sui terreni del nonno.
«ORTI INSORTI» SI CHIAMA così ed è giusto perché, senza troppo volere svelare, qui gli alberi vengono chiamati, anzi proprio invocati, per nome e a gran voce. Le stagioni si susseguono e tutto dalla terra arriva e quello che non arriva, non è necessario. Prima del pensiero della decrescita, prima del nascere di qualunque pensiero ecologista, il mondo contadino sapeva fare affidamento sui ritmi delle stagioni e sulle pratiche agricole, sul baratto, sulla condivisione e sulla solidarietà di vicinato. E’ forte, Elena Guerrini, quando recita Orti insorti, nell’evocare oggi che cosa ci serve per uscire dal tunnel della fine delle risorse: «Bisogna ascoltare nonno Pompilio, bisogna seguire i consigli di Vandana Shiva e riprodurre le proprie sementi, sottrarsi all’abbraccio mortifero delle multinazionali del transgenico».
ERAVAMO A CESENA, nel marzo del 2009, quinto convegno della Rete degli Orti di Pace. Organizzatori i fratelli Zavalloni, indimenticato Gianfranco, educatore e disegnatore, e Pia Pera. Duecento intervenuti. A sera, Elena Guerrini si produce in una replica memorabile, questo libro che è anche monologo e adesso anche un vino, un ciliegiolo rosso, antica varietà toscana. Rimarrà nella storia del movimento degli orti condivisi nel nostro Paese, è un unicum, uno strumento prezioso. I Gas, gruppi di acquisto solidali, sono stati i committenti di questo lavoro, esso è andato in scena nei migliori teatri italiani, dal Franco Parenti ai festival più prestigiosi, ha valicato le frontiere arrivando in Polonia e negli Stati Uniti. Depurato dai toscanismi e dalle bestemmie di nonno Pompilio, è entrato nelle scuole e, con la collaborazione di Anna Bertola, è un gioco per bambini (i semi come pedine).
RECUPERANDO LA TRADIZIONE popolare delle veglie, Elena ha anche riproposto le recite serali dove si entrava «a baratto» ed il biglietto si pagava in natura. Il libro si può chiedere presso «associazionecreaturecreative@gmail.com».
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