PAC EUROPEA e PAC ITALIANO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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PAC EUROPEA e PAC ITALIANO da IL MANIFESTO

Varata la nuova Pac, perpetuato il «modello agro-industria»

Clima. Il Parlamento europeo vota sulla politica agricola, i Verdi: tradita la svolta verde promessa

Anna Maria Merlo  PARIGI  24.11.2021

L’Europarlamento ha approvato ieri la nuova politica agricola comunitaria (Pac), dopo un lungo periodo di discussione, in seguito alla proposta di riforma presentata dalla Commissione nel 2018, adottata in Consiglio solo nel giugno scorso. La riforma della Pac entrerà in vigore il primo gennaio 2023 e durerà fino al 2027. Rappresenta un terzo del bilancio pluriennale Ue (386,6 miliardi di euro su 1210). Il primo paese beneficiario è la Francia (18%, un po’ meno di 10 miliardi), seguita dalla Spagna (12%), dalla Germania (11%) e dall’Italia (5,3 miliardi). La nuova Pac è un difficile tentativo di quadratura del cerchio: la riforma è stata preparata nel 2018, prima della svolta «verde» del Green Deal del 2020 e le esigenze dettate dalla lotta al riscaldamento climatico.

Le due grandi correnti che rappresentano la sinistra in Europa – la socialdemocrazia e l’ecologia – si sono profondamente divise di fronte alla nuova politica agricola comunitaria. Per il verde Philippe Lambers, «la maggioranza ha votato scientemente per la perpetuazione di un modello di agricoltura che distrugge la Terra e la vita, e uccide i piccoli agricoltori a profitto dell’agro-industria, sette lunghi anni di più, uno spreco».

Come si concilia la nuova Pac con il Green Deal, si chiede l’europarlamentare verde francese Benoît Biteau, che denuncia una «assenza totale di coerenza», con le esigenze della politica From Farm to Fork, che prevede una riduzione del 50% dei pesticidi, meno 20% di concimi di sintesi, 25% di biologico entro il 2030: «questa Pac continuerà ad accompagnare un’agricoltura agli antipodi di ciò che volevamo fare con il Green Deal».

Giudizio opposto del gruppo S&D, anche se ci sono stati dissensi nel voto: «abbiamo dato forma a una nuova Pac verde, giusta e più sociale, per la prima volta in 60 anni c’è una condizionalità sociale» e «uno spirito verde rafforzato».

La nuova Pac rappresenta una ri-nazionalizzazione delle politiche agricole, in nome di una maggiore flessibilità e adattamento alle esigenze locali, molto diverse tra le zone agricole europee: Bruxelles darà le grandi linee-quadro, ma la realizzazione sarà lasciata ai «piani strategici nazionali», che gli stati devono presentare entro fine anno (anche se molti sono in ritardo e non potranno rispettare la scadenza), che dovranno ottenere l’approvazione della Commissione, prevista entro aprile. Il commissario Janusz Wojciechowski ha già fatto sapere che sarà di manica larga: non respingerà i piani nazionali sulla base del Green Deal, ma userà lo strumento della «persuasione» se ci saranno grosse contraddizioni.

Tra le novità della Pac, la «condizionalità» sociale: gli aiuti andranno soltanto alle aziende che rispettano le norme sul lavoro e l’occupazione (per i sindacati italiani è una ottima notizia, vista la situazione di illegalità esistente nel settore). Inoltre, il 22% degli aiuti diretti saranno condizionati al rispetto delle norme ambientali, percentuale che salirà al 25% nel 2025. Il problema saranno i controlli.

La Pac viene da lontano. Per anni ha rappresentato la metà del bilancio comunitario. Era la politica più importante, con l’obiettivo di assicurare l’indipendenza alimentare di un continente uscito dalla guerra. Per anni, quindi, ha favorito lo sviluppo a tutti i costi, l’agro-industria, lasciando ai margini i piccoli produttori. Tra i principali beneficiari c’è il principe Alberto di Monaco e, prima della Brexit, la regina d’Inghilterra. Il sostegno al mercato e ai prezzi resta ancora oggi, così come quello al reddito degli agricoltori, che rappresenta il 70% dei finanziamenti destinati ai 6-7 milioni di aziende agricole della Ue.

Piano di adattamento, Cingolani batta un colpo

Impatti climatici . L’Italia è oggi l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima, ossia di uno strumento che permetta di individuare le aree più a rischio e di indirizzare lì le risorse prioritarie, aiutando i Comuni a elaborare progetti per ripensare le aree dove scorrono i fiumi, i sistemi di gestione delle acque in piazze che oggi si allagano, a rendere meno caldi e più belli gli spazi pubblici con alberature e materiali che assorbono meno il calore

Edoardo Zanchini  24.11.2021

Non è colpa del destino e nemmeno dei crescenti impatti climatici se in Italia sono così rilevanti i danni a seguito di alluvioni, così tanti i morti quando piove o durante le ondate di calore. Perché di questi processi oramai sappiamo tutto, conosciamo dove avvengono con maggiore frequenza e i territori che sono a maggior rischio perché più fragili da un punto di vista idrogeologico o che diventano pericolosi per il modo dissennato con cui si è costruito nel secolo scorso. Il problema è che non ci stiamo preparando per uno scenario che nei prossimi anni vedrà crescere i pericoli, in un Pianeta che si sta surriscaldando.

L’Italia è oggi l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima, ossia di uno strumento che permetta di individuare le aree più a rischio e di indirizzare lì le risorse prioritarie, aiutando i Comuni a elaborare progetti per ripensare le aree dove scorrono i fiumi, i sistemi di gestione delle acque in piazze che oggi si allagano, a rendere meno caldi e più belli gli spazi pubblici con alberature e materiali che assorbono meno il calore. Questa assenza è particolarmente grave perché ora che abbiamo le risorse europee di Next Generation Ue non le investiremo dove è più urgente ma in progetti «cantierabili» pensati qualche anno fa ma scelti senza un criterio di priorità. Se non cambiamo le politiche continueremo in questa triste contabilità di danni che si ripete senza soluzione di continuità, quando abbiamo la possibilità di ridurne la portata puntando su allerta dei cittadini e sulla messa in sicurezza dei territori.

Ogni anno il nostro Paese, secondo i dati della Protezione Civile, spende 1,55 miliardi per la gestione delle emergenze, in un rapporto di 5 a 1 rispetto a quanto dedicato alla prevenzione. Invece dovremmo puntare a ridurre la prima voce di spesa e in parallelo muovere investimenti che intervengono sui problemi, ripensando anche l’approccio con cui interveniamo nei territori in modo da gestire una risorse al contempo pericolosa e preziosa, a seconda dei periodi dell’anno, come l’acqua. Possiamo farlo grazie all’enorme patrimonio di dati di cui disponiamo attraverso Cmcc e Ispra, ma anche ai monitoraggi di Legambiente presenti nel rapporto Cittàclima presentato ieri. Un risultato viene fuori con chiarezza dagli scenari sul rischio climatico per i prossimi anni elaborati per il nostro Paese e dalle analisi delle aree che stanno subendo maggiori impatti: in Italia ci saranno alcuni territori in cui sarà più pericoloso vivere e lavorare. La notizia positiva è che sappiamo quali sono, perché dal 2010 ad oggi alluvioni, ondate di calore e trombe d’aria si sono ripetute con maggiore intensità a Roma, Bari, Milano, Napoli, Genova e Palermo. E assieme a queste aree urbane vanno considerati territori come la costa romagnola e delle Marche, della Sicilia orientale e del Ponente ligure, alcuni ambiti della costa sud e nord sarda e della Toscana.

Le ragioni sono diverse, climatiche e idrogeologiche, ma ci troviamo di fronte a fenomeni senza precedenti. Come sa bene chi vive Siracusa, che ad agosto ha percepito un caldo record in Europa con 48,8 °C, e solo due mesi dopo ha visto una quantità di pioggia senza precedenti e la devastazione per il passaggio del «medicane» Apollo. Dopo mesi passati a parlare di clima, tra G20 e Cop26 di Glasgow, passando per la creazione del nuovo Ministero della transizione ecologica, è ora che si passi dalle promesse ai fatti per cambiare davvero pagina.

* vicepresidente Legambiente

Italia nella morsa degli eventi estremi: 133 solo nel 2021

Clima. Nel rapporto dell’Osservatorio «Città clima» le aree più a rischio: Roma, Bari e le costeLuca Martinelli  24.11.2021

Il 27 settembre 2021 una grandinata ha causato 8 feriti a Bivigliano, una frazione di Vaglia, nel fiorentino. Nel paese anche 100 veicoli danneggiati e tetti scoperchiati. È solo uno dei 133 eventi estremi registrati in Italia nell’ultimo anno, censiti da Legambiente che ieri ha presentato l’edizione aggiornata del rapporto «Il clima è già cambiato». Dal 2010 al 1° novembre 2021, nella Penisola sono 1.118 gli eventi estremi registrati sulla mappa del rischio climatico dell’Osservatorio Città Clima (cittaclima.it), segnando un +17,2% rispetto alla passata edizione del rapporto.

Gli impatti più rilevanti si sono registrati in 602 Comuni italiani. Nello specifico, negli ultimi dodici mesi si sono verificati 486 casi di allagamenti da piogge intense, 406 casi di stop alle infrastrutture da piogge intense, 308 eventi con danni causati da trombe d’aria, 134 gli eventi causati da esondazioni fluviali, 48 casi di danni provocati da prolungati periodi di siccità e temperature estreme, 41 casi di frane causate da piogge intense e 18 casi di danni al patrimonio storico.

A questo si aggiunge la perdita di vite umane, 9 solo nei primi dieci mesi del 2021 (e 261 dal 2010). Tra le città più colpite dagli eventi estremi legati ai cambiamenti climatici c’è Roma, dove negli ultimi undici anni si sono verificati 56 eventi (9 nell’ultimo anno), 32 dei quali hanno riguardato allagamenti a seguito di piogge intense. Altro caso importante è Bari, con 41 eventi, principalmente allagamenti da piogge intense (20) e danni da trombe d’aria (18). Milano segue con 30 eventi totali: almeno 20 le esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro.

Le grandinate estreme, come quella di Bivigliano, rappresentano un nuovo fenomeno censito, perché – spiega Legambiente – «colpiscono sempre con maggiore intensità e frequenza campagne e centri urbani». Solo nel corso del 2021, si sono verificati 14 eventi di questo tipo. Un altro approfondimento del rapporto riguarda la resilienza delle reti elettriche e ferroviarie, ed è stato realizzato in collaborazione con Terna, e-distribuzione e Fs italiane. Dal 2010 ad oggi si sono registrati 83 giorni di stop a metropolitane e treni urbani e 89 giorni di disservizi estesi sulle reti elettriche per il maltempo.

Di fronte a questo quadro, Legambiente è tornata ieri a ribadire l’urgenza di approvare quanto prima il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Sono 23 i Paesi UE, con l’aggiunta del Regno Unito, che hanno adottato un piano nazionale o settoriale di adattamento al clima e tra questi non vi è l’Italia. Il Rapporto 2021 individua le 14 aree del Paese dove si ripetono con maggiore intensità e frequenza alluvioni, trombe d’aria e ondate di calore. Si tratta di grandi aree urbane e di territori costieri dove la cronaca degli episodi di maltempo e dei danni è senza soluzione di continuità.

Ad intere città – quelle già viste più Genova e Palermo – vanno aggiunte aree come la costa romagnola e il Nord delle Marche, con 42 casi, o la Sicilia Orientale e la costa agrigentina, con 38 e 37 eventi estremi. In queste ultime due aree sono stati numerosi i record registrati nel corso del 2021: a Siracusa l’11 agosto, si è raggiunto il record europeo di 48,8 °C, nel catanese e siracusano in 48 ore si è registrata una quantità di pioggia pari a un terzo di quella annuale. Senza dimenticare la devastazione del medicane Apollo, tra il 24 e il 29 ottobre scorsi. Secondo i dati della Protezione Civile, ogni anno spendiamo 1,55 miliardi per la gestione delle emergenze, in un rapporto di 1 a 5 tra spese per la prevenzione e quelle per riparare i danni.

Quattro per Legambiente le priorità per ridurre la vulnerabilità. Oltre all’approvazione del Piano di adattamento va previsto un programma di finanziamento e intervento per le 14 aree del Paese più colpite dal 2010 ad oggi. Inoltre, occorre rafforzare il ruolo delle Autorità di Distretto e dei Comuni negli interventi contro il dissesto idrogeologico. Infine, bisogna rivedere le norme urbanistiche: si continua a costruire in aree a rischio idrogeologico, a intubare corsi d’acqua, a portare avanti interventi che mettono a rischio vite umane durante piogge estreme e ondate di calore.

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