ASSALTO AL “POLMONE VERDE ” DEL MONDO, COLPO MORTALE PER IL CLIMA da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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ASSALTO AL “POLMONE VERDE ” DEL MONDO, COLPO MORTALE PER IL CLIMA da IL MANIFESTO e IL FATTO

Assalto al “polmone verde” del mondo, colpo mortale per il clima

DEFORESTAZIONE. Dossier Wwf. Negli ultimi 50 anni il 17% dell’Amazzonia è stato convertito in coltivazioni. Se dovesse arrivare al 20% rischia di diventare savana

Dante Caserta  04/04/2024

Coprono oltre il 30% delle terre emerse, ospitano circa l’80% della biodiversità terrestre, forniscono servizi essenziali per le nostre vite e svolgono un ruolo cruciale nella mitigazione del cambiamento climatico: sono le foreste, habitat fondamentali per la nostra vita e silenziosi testimoni di quello che era il nostro Pianeta prima che lo modificassimo pesantemente. Nonostante la loro importanza, l’uomo ha sviluppato una preoccupante capacità di distruggerle ben sintetizzata dalla famosa vignetta in cui una persona seduta su un ramo di un albero è attivamente impegnata a tagliarlo.

SOLO NEGLI ULTIMI 30 ANNI sono stati persi 178 milioni di ettari di foreste a livello mondiale, tre volte la superficie della Francia: ciò dipende dalle nostre azioni e dai nostri consumi che contribuiscono alla perdita globale di biodiversità e al cambiamento climatico.

OGGI LA PRINCIPALE CAUSA della deforestazione sulla Terra è l’aumento dei terreni coltivati per la produzione agricola. A causa di questa continua espansione ogni anno vengono convertiti 5 milioni di ettari di foreste tropicali, in particolare per la produzione di carne bovina, olio di palma, soia, cacao, gomma, caffè e legno. La deforestazione provocata dall’aumento, a livello globale, della domanda di carne è una vera e propria piaga: il 60% delle foreste pluviali tagliate (in Amazzonia si arriva al 70%) viene abbattuto proprio per ottenere pascoli e per coltivare grandi quantità di colture (soprattutto soia e cereali) destinati all’alimentazione animale. Inoltre, dalla produzione e dal commercio internazionale di questi prodotti deriva più del 30% delle emissioni di CO2 causate dalla deforestazione.

LA FORESTA AMAZZONICA RAPPRESENTA l’ecosistema maggiormente colpito: negli ultimi 50 anni ben il 17% della sua superficie (equivalente a due volte quella italiana) è stato convertito in coltivazioni. Se questo fenomeno arrivasse a colpire il 20-25% dell’Amazzonia, il polmone verde del mondo, così chiamato grazie alle ingenti quantità di gas serra che è in grado di assorbire dall’atmosfera, non sarebbe più in grado di sopravvivere, trasformandosi in una savana arbustiva nel giro di pochi decenni.

NE SIAMO CONSAPEVOLI DA TEMPO, i dati sono chiari e gli scienziati non fanno che ricordarceli, eppure negli ultimi anni la tendenza non sembra migliorare: nel 2022 i disturbi forestali nella regione pan-amazzonica sono aumentati quasi del 15% rispetto al 2021.

LA DISTRUZIONE DI QUESTA PREZIOSA foresta sta avendo un impatto devastante anche sulla lotta alla crisi climatica globale perché l’Amazzonia, da sola, immagazzina 75 miliardi di tonnellate di carbonio, oltre il 10% di quanto ne «incamerano» le intere foreste mondiali (662 miliardi di tonnellate). Si tratta di quantitativi così elevati da risultare indispensabili nel quadro complessivo di assorbimento della CO2 e per impedire il riscaldamento globale superi la soglia di 1,5°C. Peraltro si stanno già manifestando effetti altamente negativi: studi recenti attestano come, contrariamente a quanto si è sempre creduto, la concentrazione di carbonio nell’atmosfera amazzonica sia maggiore negli strati d’aria più vicini alle chiome degli alberi. Si tratta di un dato molto preoccupante perché indica come in alcune fasce la foresta amazzonica emetta più carbonio di quanto ne assorbe e immagazzina: l’emissione netta si attesta ormai a circa 300 milioni di tonnellate di carbonio ogni anno che equivale alle emissioni annuali di un Paese industrializzato come la Francia. Quanto sta accadendo è legato sicuramente alla deforestazione, ma anche agli incendi e alla siccità, fenomeno un tempo del tutto sconosciuto in Amazzonia. Ciò potrebbe scatenare degli effetti a catena sul clima globale in quanto, se tutto il carbonio attualmente immagazzinato nella foresta amazzonica fosse rilasciato, la temperatura media del Pianeta aumenterebbe di 0,3°C, eventualità che renderebbe impossibile contenere l’innalzamento delle temperature entro gli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi.

ANCORA UNA VOLTA IL MONDO PIÙ industrializzato ha pesanti responsabilità in quello che sta accadendo. I Paesi dell’Unione Europea sono tra i maggiori importatori di una serie consistente di prodotti che causano la deforestazione, come il caffè, la carne, l’olio di palma e i latticini. L’Unione è responsabile del 16% della deforestazione globale associata al commercio internazionale di materie prime, ponendosi come il secondo maggiore importatore al mondo di deforestazione dopo la Cina. E noi italiani facciamo ampiamente la nostra parte: i consumi nazionali, da soli, determinano la distruzione di una superficie pari al doppio di quella della città di Milano (36.000 ettari). «Si tratta della cosiddetta deforestazione incorporata: deriva dalla produzione di beni consumati in altri Paesi e contribuisce a quasi l’80% della deforestazione mondiale», ricorda Edoardo Nevola, responsabile Foreste del Wwf Italia. «Parte di questa riguarda anche i mercati alimentari dell’industria italiana ed è per questo che il ruolo di noi consumatori è centrale. Prestando maggiore attenzione a ciò che compriamo, possiamo veramente dare un contributo sostanziale alla salute delle foreste e alla nostra: ad esempio, leggendo le etichette sulle confezioni dei prodotti che acquistiamo possiamo scegliere quelli con certificazioni che attestino la provenienza da foreste gestite in maniera sostenibile».

UN AIUTO PER RIDURRE significativamente l’impronta ecologica del commercio internazionale potrà venire, se correttamente applicato, dal nuovo Regolamento europeo contro la deforestazione (Eudr) che regolamenta sette materie prime (soia, olio di palma, carne bovina, caffè, prodotti legnosi, prodotti stampati e gomma) e i loro derivati: dal 30 dicembre 2024 potranno entrare nel mercato europeo solamente se le aziende saranno in grado di dimostrare, attraverso controlli e tracciamenti, che non sono causa di deforestazione. Ciò indirizzerà il mercato verso quelle merci prodotte e importate senza contribuire alla distruzione del Pianeta.

Ue, il reato di “ecocidio” farà rispettare le leggi

GIANFRANCO AMENDOLA  4 APRILE 2024

Entro due anni, in tutta l’Unione europea sarà punito l’“ecocidio”. Lo ha stabilito la seconda direttiva comunitaria sugli “ecoreati”, appena approvata e in corso di pubblicazione, la quale prende atto che le sanzioni oggi vigenti nella Ue per chi attenta o distrugge ambiente ed ecosistemi sono insufficienti e troppo blande; e pertanto aumenta le ipotesi di delitti contro l’ambiente da 9 a 20 anni e aggiunge che “i reati relativi a condotte intenzionali elencati nella presente direttiva possono comportare conseguenze catastrofiche, come inquinamento diffuso, incidenti industriali con gravi effetti sull’ambiente o incendi boschivi su vasta scala. Qualora simili reati provochino la distruzione di un ecosistema di dimensioni o di valore ambientale considerevoli o di un habitat all’interno di un sito protetto, oppure provochi danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi a tali ecosistema o habitat, o alla qualità dell’aria, del suolo o dell’acqua, tali reati che hanno provocato conseguenze catastrofiche dovrebbero costituire reati qualificati e, pertanto, dovrebbero essere puniti con sanzioni più severe rispetto a quelle applicabili nei casi di reati diversi da quelli definiti nella presente direttiva”, precisando, nel contempo, che “tali reati qualificati possono comprendere condotte paragonabili all’‘ecocidio’, che è già disciplinato dal diritto di taluni Stati membri e che è oggetto di discussione nei consessi internazionali” .

Non si introduce direttamente l’ecocidio, ma si aggravano le pene per chi commette delitti contro l’ambiente i quali provochino la distruzione di un ecosistema di dimensioni o di valore ambientale considerevoli o di un habitat all’interno di un sito protetto o danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi all’ambiente. Si pensi, ad esempio, alla distruzione dei fondali tramite pesca industriale a strascico, alle massicce trivellazioni petrolifere con danni annessi, oppure a chi distrugge le foreste per scopi industriali, di edilizia o di allevamenti. Il più recente esempio di ecocidio è del resto sotto gli occhi di tutti: la distruzione della diga di Kakhovka in Ucraina dove un’enorme massa d’acqua ha travolto città, depositi di carburante, aziende e industrie, provocando danni attualmente incalcolabili all’ambiente. Alcuni video sui social mostrano già come in alcune zone dove l’acqua si è ritirata ci sia una gigantesca moria di pesci e anche il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, la ritiene una “catastrofe ecologica”.

In tal caso – dice la Ue – si può parlare di “ecocidio” e le pene arrivano alla reclusione fino a otto anni che, in caso di morte di una persona, salgono a dieci; mentre, per le imprese, sono previste sanzioni pecuniarie che sono commisurate alla natura del delitto e oscillano tra il 3 e il 5 per cento del fatturato annuo. La Ue, contemporaneamente, ha approvato anche la direttiva sul ripristino della natura che obbliga gli Stati a riportare in buone condizioni il 20% delle aree terrestri e marine degradate entro il 2030, e per tutti gli ecosistemi entro il 2050. E tanto più – aggiungiamo noi – che dal 2022 la nostra Costituzione riconosce l’ambiente tra i diritti fondamentali, sancendo contestualmente che l’iniziativa economica privata non può mai svolgersi in modo da arrecare danno all’ambiente e alla salute.

Sappiamo bene che una legge non serve se poi non viene applicata: basta pensare alla vergogna dell’Ilva di Taranto. Ma l’aggravante di ecocidio può contribuire non solo come deterrente, ma anche come strumento idoneo a superare alcune difficoltà interpretative della legge vigente e, soprattutto, a velocizzare l’iter delle nuove leggi di tutela ambientale. Basta pensare che il primo Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici è stato pubblicato dal ministero dell’Ambiente con 4 anni di ritardo, nel dicembre 2022; e non è ancora operativo, nonostante sia evidente la sua importanza per evitare danni incalcolabili all’ambiente. Si tratta di recepire presto e bene questo crimine gravissimo nel nostro ordinamento, garantendone l’immediata applicazione. Ma, nel contempo, sarebbe opportuno andare oltre la Ue per unirsi alle tanti voci che si stanno oggi adoperando affinché l’ecocidio diventi il quinto crimine di interesse internazionale, insieme a genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione; attivando, quindi, in tal modo, il controllo e l’intervento della Corte Penale Internazionale. Lo ha richiesto anche Papa Francesco, il quale, rivolgendosi ai partecipanti al 20º Congresso mondiale dell’Associazione internazionale di diritto penale, auspicò l’introduzione nel catechismo del “peccato ecologico”, specificando che l’ecocidio “fa parte di una quinta categoria di crimini contro la pace, che dovrebbe essere riconosciuta tale dalla comunità internazionale”.

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