C’erano una volta i comuni rossi dell’Emilia
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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C’erano una volta i comuni rossi dell’Emilia

di Enzo SCANDURRA –

Ironia della sorte (ma non troppo); l’Emilia Romagna, un tempo regione modello per l’urbanistica italiana, si appresta ad approvare una legge regionale (Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio, n° 4223), che basandosi sulle parole d’ordine di rigenerazione/riqualificazione nelle città storiche, conclama la definitiva mutazione genetica di questa disciplina. Che da sapere finalizzato a limitare e contenere gli effetti negativi di uno sviluppismo, si trasforma in fiancheggiatrice del più bieco sfruttamento del territorio e delle città storiche. L’elemento cardine dello sviluppo del territorio non spetta infatti più al piano regolatore comunale, ma agli accordi operativi derivanti dalla negoziazione fra l’amministrazione comunale e gli operatori privati che presentano al comune un’apposita proposta da approvare in 60 giorni, tempo proibitivo per i comuni. Altro contenuto inaccettabile della nuova legge urbanistica riguarda il contenimento del consumo del suolo. Ogni comune può prevedere un consumo di suolo pari al 3% del territorio urbanizzato. Quest’espansione – ingiustificata e fin troppo generosa – è destinata a opere d’interesse pubblico e a insediamenti strategici “volti ad aumentare l’attrattività e la competitività del territorio”. Ed a conti fatti, tra eccezioni, deroghe e salvataggio di diritti acquisiti, è lecito supporre che il consumo di suolo consentito sarà di gran lunga superiore, fino al doppio o al triplo, del previsto 3% della superficie urbanizzata.

Di questo, della fine dell’urbanistica, ci parla un libricino collettivo uscito da poco, a cura di Ilaria Agostini, (Edizioni Pendragon, Bologna, pp. 110, euro 8) dal titolo: Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna, che raccoglie gli scritti di: Montanari, Salzano, Marson, Agostini, Losavio, Bonora, Cervellati, Berdini, Foschi, Bevilacqua, Rocchi, Righi, Dignatici, Alleva, Quintavalla, Caserta. Perché la proposta di legge nei fatti prevede un doppio regime urbanistico. Da una parte le iniziative immobiliari di imprese e privati godrebbero di un canale privilegiato; dall’altro le esigenze di famiglie ed attività economiche restano affidate ai vecchi dispositivi. Una proposta di legge più che inutile, dannosa, che consegnerebbe il territorio agli interessi della speculazione fondiaria e toglierebbe la sovranità ai cittadini, gli unici attori indispensabili della democrazia. C’erano già dei precedenti nei DdL del ministro Lupi, nel 2014, ministro alle infrastrutture del governo Renzi; ora quei tentativi (falliti) di smantellare l’intero impianto urbanistico, che aveva come perno il Piano, e con esso, l’autonomia dei comuni, diventano i contenuti di una proposta di legge di una regione che, nel passato, era un modello di riferimento non solo per l’Italia.

Il libro è intitolato, non a caso, Consumo di luogo, perché il DdL oltre a consentire un incremento di consumo di territorio, favorisce i processi in atto che avvelenano le nostre città storiche, dove: turisti, boutique di lusso, pizzerie e kebaberie, paninerie, mini market, invadono portici, strade e piazze; luoghi privilegiati dove si svolge la vita urbana e che rischiano di diventare spettrali simulacri di città. In sintesi tre sono i pilastri che costituiscono la più micidiale innovazione urbanistica mai pensata: 1) accordi operativi con i privati in variante ai piani urbanistici vigenti; 2) incentivi ai diritti edificatori (mai messi in discussione) definiti dai piani; 3) eliminazione degli standard urbanistici tramite l’invenzione degli standard differenziati. Tre pilastri dell’urbanistica neoliberista fondativi della subordinazione del pubblico agli interessi privati. Diceva il sindaco La Pira, nel 1955, al Convegno di tutti i Sindaci del mondo (intitolato: Per la salvezza delle città di tutto il mondo): se le città non sono cumuli di pietra, ma affascinanti quanto misteriose abitazioni di uomini…… Ora queste città non sono nemmeno più cumuli di pietra, ma solo praterie dove è consentito la più sfrenata scorreria degli interessi privati. Come si dice in premessa al libro, il messaggio è questo: non portate il cavallo di legno di questa legge dentro le mura della città. O la città sarà messa a ferro e fuoco.

[Il libro è consultabile cliccando qui].

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