Parole
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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Parole

di Velio ABATI –

Dio ti fulmini!”: il grido dell’impotente proclama sempre la sconfitta subìta, proprio mentre millanta di negarla. Una postura talmente scoperta, che il realista crede di trovarvi la prova definitiva della sua antica convinzione: nomina sunt consequentia rerum. Eppure qualcosa non convince.

Che cosa induce il parlante secolarizzato da oltre due secoli di capitalismo a ripetere l’ossequio degli albori che nella parola sentivano la folgore divina? Rimane cioè il sospetto che il remoto tremore e l’invettiva moderna non siano semplici finzioni, ma costituiscano dei sintomi, ovvero che le parole in cui si sostanziano segnalino davvero la negazione dell’impotenza, per quanto la sua verità prenda la figura paradossale di un dio che obbedisce al nostro comando. Più volte ho personalmente risposto che quando mi vedo incapace di agire, quando anche il fiato mi manca, allora scrivo. Tuttavia non è questa stessa tensione, il suo risultato un’altra prova che lì esiste e agisce una qualche negazione della negazione?

Dal lato opposto, non da oggi più d’uno ha argomentato che nei pronunciamenti del tipo “L’imputato è condannato” la cosa, anche la più grave in assoluto, nasca dalla parola, non viceversa, esattamente come il sacro precetto asserisce: fiat lux! In questa nostra epoca assistiamo alla mondanizzazione radicale e massificata del fenomeno, perché è esperienza persino dozzinale che le parole sono cose da cui rastrellare lucro. E non dico qui di organismi raffinati, di quell’“opera d’inchiostro” che già al principio dell’età moderna messer Ludovico sapeva di dovere al suo signore Ippolito. Sono proprio le frattaglie della comunicazione, dalla lista della spesa al ciao ciao del mattino al vicino di casa, le cose da vendere e acquistare: è l’attività del parlare, ciò che viene messo a valore e perciò espropriata. Non mi riferisco a chi contratta e vende la propria attività parlante, fatto antico che andrebbe forse meglio indagato, ma alla miriade di occasioni quotidiane che i mezzi informatici mettono a disposizione e di cui, chi se ne serve per salutare l’amico lontano o incontrarne uno nuovo, ignora totalmente che la società di recapito vende il tuo messaggio e, per questa via, la tua persona, la tua vita a chi sa chi e chi sa dove, in una ragnatela dalla mirabile capacità di trasformare il più individuale e intimo gesto, la parola, nel più astratto e anonimo valore di scambio, dove nessuno parla più a nessuno.

Nel punto estremo in cui ci troviamo esposti, dove non ha più senso discutere se è il nome che nasce dalla cosa o viceversa, perché semplicemente le due serie sono una sola, risulta forse più chiaro quanto avremmo dovuto sapere da sempre, ossia che le parole sono medium dei rapporti umani. Ciò comporta delle conseguenze vaste e notevoli. I rapporti sociali umani sono stati e sono il campo, l’energia e la posta del conflitto tra differenze e contraddizioni, dunque le parole – il loro significato e il loro valore – portano impresso il conio di chi, nel conflitto, ha potuto imprimerlo. Si può infatti leggere la raffinatissima codificazione linguistica, che le civiltà umane hanno diversamente sviluppato, come il tentativo di arginare la violenza originaria e permanente della legge del più forte. Un’enorme opera di mediazione, vero codice di Hammurabi. Tuttavia, come il vocabolario di una lingua rimane saldamente storico, così gli atti di parola, se apparentemente obbediscono al principio di uguaglianza formale che il codice loro garantisce, portano impresso il peso sociale del loro conio, tant’è che sia chi li emette, sia chi li riceve lo legge. Il dio ti fulmini odierno non è dunque un flatus vocis, né solo sfogo, ma l’atto pubblico d’insubordinazione, per questo chi lo riceve non ne ride.

Edificanti i casi in cui difetti la lettura del peso di chi parla, inducendo a prendere fischi per fiaschi e a subirne la sanzione. Interessantissimo è l’attuale diffondersi epidemico, anonimo, con considerevoli effetti politico-sociali, delle false notizie credute vere. Non infrequentemente tale fenomeno si accompagna al suo opposto: la falsa notizia è coniata da fonte nota, il cui grande peso sociale garantisce della verità, al punto che quand’anche, dopo qualche tempo, la medesima fonte la riconoscesse falsa – è capitato –, non per questo cessa l’effetto precedente. In entrambi i casi, è con evidenza lo stato di sottomissione sociale causa del danno.

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